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Lesbo, quell’urlo inascoltato che nasce dalla montagna dei life jackets

Siamo stati sull'isola che nello scorso anno ha visto passare almeno mezzo milione di rifugiati, in gran parte siriani, verso la salvezza in Europa. Migliaia sono ancora bloccati nei campi profughi, e ieri, dopo mesi di tregua, è avvenuta un'altra tragedia del mare. Il racconto in prima linea di una coppia di inglesi che fin dall'inizio ha coordinato gli aiuti volontari, salvando di fatto un numero inestimabile di vite. Con loro abbiamo visitato il "cimitero dei giubbotti di salvataggio", un luogo che ricorda il materiale raccolto nei lager nazisti a memoria futura, ma che riguarda un presente senza apparente soluzione

di Daniele Biella

Hanno nuotato per otto ore, prima di trovare la salvezza. Ma ce l’hanno fatta solo in sei dei 13: quattro persone, tra cui due bambini di 4 e 6 anni, sono annegati, mentre tre risultano disperse. Erano siriani, partiti nella notte di ieri dalle coste turche per arrivare sull’isola di Lesbo, Grecia, Europa. La loro imbarcazione, ancora lontana dalle coste greche, ha incrociato un’onda troppo alta e si è rovesciata. I soccorsi? Arrivati troppo tardi. Erano mesi che non s in qu registravano vittime in quel tratto di mare, dopo l’annus horribilis 2015, con centinaia di morti: l’accordo Ue-Turchia, attivo da fine marzo, ha diminuito drasticamente i tentativi di partenza, e chi invece riusciva a entrare in acque greche, veniva condotto all’hotspot di Moria per l’identificazione. Questo fino a pochi giorni fa, da quando si sta registrando un'impennata degli arrivi. Giovedì 7 luglio sono arrivati quattro gommoni in una mattina: 90 persone, tutte salve anche grazie al lavoro volontario di decine di persone che da almeno un anno si alternano sulle coste del nord dell’isola, tra Molyvos e Skala Sikaminias. Poi un'altra barca intercettata, domenica 10 luglio, e le 40 persone trasbordate sul Protector della marina inglese.

Ieri, mercoledì 13, ben 115 arrivi in distinte zone, con la tragedia dei quattro morti e tre dispersi. Questa mattina, invece, sono arrivate nel nord altre 40 persone con un gommone, sorprende la diversità delle provenienze: pochi siriani, il resto da Eritrea, Mali, Senegal (segno di un nuovo flusso dall’Africa, date le sempre più proibitive condizioni in Libia?), Pakistan, Iran, Iraq. Come riporta con un video pubblicato sul proprio account twitter l’ong che li ha scortati con moto d'acqua fino all'arrivo dei soccorsi, i bagnini spagnoli di Proactiva open arms, che operano sulle spiagge a nord a fianco dei cittadini e di altre organizzazioni tra cui Lighthouse relief, composta da volontari provenienti da tutto il mondo.

Siamo stati a Lesbo nei giorni scorsi – dove rimangono nei campi profughi almeno 3mila uomini, donne e bambini di varie nazionalità, in particolare dal Medio Oriente, in logorante attesa di sapere quale potrà essere la loro prossima destinazione – e abbiamo potuto vedere da vicino l’opera instancabile dei volontari, anche in tempi di minore “emergenza arrivi”. A cominciare dalla coppia che, probabilmente più di ogni altro abitante dell’isola, ha incrociato i destini di migliaia di rifugiati solo nell’ultimo anno, perché arrivati sulla spiaggia davanti alla loro casa di Eftalou, nei pressi di Molyvos. Si chiamano Eric e Philippa Kempson, inglesi da 25 anni abitanti dell’isola dove hanno un atelier di prodotti scolpiti in legno, ambra e varie pietre, che con la figlia Elleni – nomen omen – hanno coordinato aiuti spontanei di persone e materiale provenienti da tutto il mondo. “Bisogna stare sempre all’erta, perché un gommone potrebbe ancora arrivare, in ogni momento della giornata”, riporta Eric.

Cosa sta succedendo negli ultimi tempi in quelle quattro miglia marine che abbiamo davanti ai nostri occhi, che dividono Lesbo dalla Turchia, l’Europa dal Medio Oriente?
La situazione è schizofrenica, in particolare l’azione del premier turco Erdogan, che a fronte dei sei miliardi di euro ricevuti dall’Unione europea in virtù dell’accordo, sembra fare il bello e il cattivo tempo. I respingimenti di barche in mare avvengono, a volte li possiamo vedere noi stessi da qui con i binocoli, ma ultimamente arrivano barche da sole, senza essere intercettate dall’Agenzia europea Frontex, forse sta cambiando qualcosa, è presto per dirlo. Rimane il fatto che, di nuovo, persone innocenti che dovrebbero avere diritto allo status di rifugiato muoiono in mare, bambini compresi.

E’ impressionante pensare che dalla spiaggia in cui ci troviamo ora siano passate centinaia di migliaia di persone nell’ultimo anno. Come siete riusciti a gestire l’emergenza?
Sono 16 anni che arrivano persone dalla Turchia. Per più di un decennio, maschi soli, da Pakistan e zone limitrofe, anche con barche a remi. Poi, nell’autunno 2014, sono arrivate anche le donne con i bambini. Siriani. Dall’inizio 2015, un’escalation pazzesca: se a gennaio arrivano due barche al giorno, a marzo erano cinque, a maggio 15, che andavano a finire lungo i nove chilometri di questo tratto di costa, in alcune parti di difficile accesso per i soccorsi. Ci siamo trovati ad affrontare l’arrivo di almeno mille persone al giorno, cercando acqua, viveri, medicinali, chiedendo l’aiuto di tutti. L’ho fatto aprendo un canale youtube, grazie al quale sono arrivate, nel giro dei sei-otto mesi, 2500 persone da tutto il mondo.


A me e Philippa, ai pescatori dell’isola, si sono affiancati altri abitanti, poi sempre più volontari, con un’organizzazione via via più strutturata. I numeri erano devastanti: te lo faccio capire con un breve viaggio, cinque minuti di macchina da qui.

Eric Kempson mi porta sul rilievo montagnoso che si eleva alla costa, in un luogo tanto significativo da lasciare senza fiato e parole: il cosiddetto cimitero dei life jackets. Migliaia, anzi decine di migliaia, di giubbotti di salvataggio ammassati uno sopra l’altro, tolti nel tempo dalle spiagge dai volontari e posizionati in questo fazzoletto di terra. A presente memoria, più che futura. Eric riprende:

Tutti dovrebbero venire a vedere questo posto. È assurdo, e se ti metti a fare il calcolo della spesa che ogni persona ha dovuto sborsare per un giubbotto – almeno 100 dollari – e un passaggio – dai 500 dollari in su – impazzisci, perché ti rendi conto del guadagno dei trafficanti. Poi pensi a quante di queste persone sono rimaste senza vita in mare, e sprofondi.

Ma poi bisogna rimboccarsi le maniche, l’emergenza è dietro l’angolo. Come si fa?
Si denuncia, ci si mette in gioco. Io, la mia famiglia, siamo visti male da una parte degli abitanti di Molyvos, fomentati dall’estrema destra, perché ci viene detto che danneggiamo il turismo. Ma io stesso ho dovuto fermare il mio lavoro di scultore, per soccorrere tutte queste anime in pericolo. E’ illegale? Io lo giudico umano. E la stessa Guardia costiera, di fronte all’emergenza, riconosce il nostro operato, chiedendoci una mano nei momenti di estrema difficoltà. Il nostro cortile è tutt’ora colmo di materiale raccolto – pannolini, vestiti, medicinali – che diamo all’occorrenza ai campi profughi dell’isola, Moria come Kara Tepe o Pikpa. Abbiamo fatto settimane intere ad accompagnare profughi dalla spiaggia ai campi di primo soccorso, io camminando per chilometri con gli uomini, Philippa con altri, tra cui Melinda e tutti i volontari della Starfish foundation, mettendo donne e bambini nelle macchine o nei pullman che in seguito avevano predisposto le autorità donne e bambini, installando tende, organizzando i soccorsi in mare una volta avvistate le barche: non ci fermavamo mai, e se dovesse accadere ancora, siamo pronti a rifarlo, perché salvare vite umane è imperativo. La macchina degli aiuti umanitari ha fatto molta fatica a organizzare gli aiuti, durante l’emergenza. Senza i volontari, sarebbe avvenuta un’ecatombe senza precedenti nella storia dell’Unione europea.

Senza i volontari, sarebbe avvenuta un’ecatombe senza precedenti nella storia dell’Unione europea

Nota: Elleni, figlia di Eric e Philippa Kempson, ha 16 anni e si trova ora in Inghilterra. Cantante professionista, EJK ha di recente vinto una tappa della versione inglese del celebre format Battle of the band. Per tutto l’anno scorso è stata in prima linea con i genitori a salvare le persone in arrivo sulla spiaggia davanti alla propria casa di Lesbo. A loro ha dedicato una canzone e un video, Lost Souls: Eccolo.

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