Economia
Imprese sociali: riformisti vs tradizionalisti
ll 28,4% del campione di Cooperative sociali che hanno partecipato allo studio si sono dichiarate riformiste quindi favorevoli all’ingresso di nuovi attori. Mentre i tradizionalisti, pari al 35,8% del campione, al contrario temono la perdita di identità delle proprie organizzazioni. Quasi 4 coop su dieci però non si sono ancora fatte un'idea precisa rispetto al nuovo assetto dell'impresa sociale prevista della legge di riforma del Terzo settore
Il tema della 10a edizione dell’Osservatorio sull’Impresa sociale, realizzata dall’Associazione Isnet è la contaminazione tra profit e non profit. E al fine di esplorare le potenzialità legate ai cambiamenti in atto, l’associazione, che da oltre un decennio si occupa di promuovere l'economia sociale, ha intervistato un campione di 400 Cooperative sociali in tutta Italia, 100 Imprese sociali (100) ex lege, e per la prima volta 10 Società Benefit con certificazione B Corp, società profit a tutti gli effetti, ma con ricadute sociali delle proprie attività. La Legge Delega per la Riforma del Terzo Settore da pochi giorni in vigore con le novità per l’Impresa sociale e l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico delle Società Benefit con la Legge di Stabilità, hanno infatti segnato l’apertura dell’economia sociale a nuovi attori organizzativi.
Stando ai dati Isnet, allo stato attuale, sono 1.053 le Imprese sociali ex lege (D. Lgs. 155/2006 Disciplina dell'Impresa sociale, a norma della Legge 118/2005).” Un numero destinato a salire ad almeno 15.100, in attuazione della Riforma del Terzo Settore, che sancisce lo status di diritto di Impresa sociale per tutte le Cooperative sociali e i loro Consorzi”. Le proiezioni di crescita economica rimangono positive. “Le Imprese sociali hanno svolto attività per 20,6 miliardi di euro e impiegato 735 mila addetti”, si legge nella ricerca. “Il 37,2% delle Cooperative sociali dichiara di aver incrementato il proprio volume di attività facendo così registrare un +3,6% rispetto al 2015. Sul fronte dell’impatto sociale, solamente in termini di inclusione lavorativa, il sistema occupa 67.100 soggetti svantaggiati (L 381/91)”.
"I dati Isnet -ha affermato Edoardo Patriarca, parlamentare e presidente del Centro Nazionale per il Volontariato- possono aiutare la politica a cogliere i trend di evoluzione e gli elementi di novità dell'impresa sociale che sta allargando i suoi confini. La sfida della contaminazione con modelli e pratiche diverse riguarda tutto il non profit ed è il tema a cui il Centro Nazionale per il Volontariato dedicherà il classico seminario formativo estivo di Lucca il 2 e 3 settembre prossimo. Nel contesto attuale di grandi cambiamenti nel Terzo Settore è impostante che gli attori del profit e non profit trovino convergenze e sinergie, nel rispetto delle reciproche differenze. La sfida è quella di capire i bisogni del paese e per aiutare l’Italia ad uscire da una crisi che è anche di relazione. È necessario tornare a prendersi cura del territorio e delle persone. Allora dove si può si deve fare impresa sociale. E il mondo del volontariato e dell'associazionismo ha fra le sue vocazioni proprio quella di essere generatore dell'impresa sociale".
Al di là dei dati, l’indagine Isnet ha voluto sondare gli umori degli attori del Terzo Settore rispetto al processo di integrazione tra il profit e non profit. Circa il 28,4% del campione di Cooperative sociali si sono dichiarate riformiste quindi favorevoli all’ingresso di nuovi attori, per gli effetti di contaminazione positiva, l’acquisizione di know how e la maggiore dinamicità organizzativa che ne può conseguire. I riformisti riconoscono infatti che le imprese sociali sono caratterizzate da una connotazione più aziendalistica (più legata a concetti di efficienza) e meno di ente caritatevole. I tradizionalisti, pari al 35,8% del campione, al contrario temono la perdita di identità delle organizzazioni, l’eccessiva commistione tra i due modelli e l’innescarsi di meccanismi competitivi con imprese che assumono la veste sociale prevalentemente per motivi opportunistici. La restante parte delle Cooperative sociali intervistate non ha ancora maturato un’idea a riguardo.
Se si sposta l’attenzione all’analisi degli indicatori economici, la media delle cooperative sociali del campione dichiara un andamento economico positivo con un trend in crescita. Ma quali sono le differenze tra tradizionalisti e riformisti? Nel gruppo dei “riformisti” le performance economiche sono migliori, il 50,9% dei “riformisti” prevede infatti un andamento economico in crescita contro il 35,1% dei “tradizionalisti”. Riguardo agli indicatori di tenuta degli assetti occupazionali, il 27,6% del campione di cooperative sociali ritiene che a fine 2016, rispetto al 2015, il personale retribuito dell’organizzazione risulterà aumentato.
“In sintesi – commenta Laura Bongiovanni presidente dell’Associazione Isnet e responsabile dell’Osservatorio – i riformisti non sembrano preoccupati dell’ingresso di nuovi attori nella sfera dell’economia sociale che rappresenta al contrario un’opportunità, una sfida per il miglioramento; sono già forti e non temono il confronto. Dal lato opposto, i tradizionalisti non ne fanno una questione di salvaguardia e marcatura del territorio, così come si potrebbe facilmente pensare, ma si appellano ai principi fondativi, allo spirito e ai valori che guidano il fare Impresa sociale, che non possono essere assolutamente confusi con obiettivi di profitto”.Sul fronte delle Società Benefit e B Corp, l’analisi Isnet ha invece evidenziato un atteggiamento di diffidenza: “Le collaborazioni con la Cooperazione sociale rappresentano una opportunità, ancora in gran parte inesplorata, anche per acquisire know how nelle esperienze di generazione del valore sociale”
“In questo contesto, la creazione di percorsi di accompagnamento e di valorizzazione reciproca tra profit e non profit – continua Laura Bongiovanni – è un obiettivo che da tempo perseguiamo e l’Osservatorio Isnet rappresenta sia un momento di sintesi, ma soprattutto un’occasione per cogliere opportunità in questa direzione. Osserviamo con favore, casi di contaminazione molto interessanti; ad esempio, imprese profit che chiedono consulenza al Terzo Settore sul piano degli inserimenti occupazionali di persone svantaggiate; il welfare aziendale per la fornitura di servizi ai dipendenti e per la sanità integrativa, anche con il coinvolgimento delle Società di Mutuo Soccorso; ancora, il social procurement per l’acquisto di prodotti e servizi con ricadute e impatto sociale. Proprio sull’impatto sociale, stiamo ultimando un’analisi di valutazione che verrà presentata il prossimo autunno”.
Alla presentazione della ricerca è intervenuto il Sottosegretario al Welfare Luigi Bobba che ha sottolineato l’importanza della ricerca dell'Associazione Isnet in un momento in cui la platea dei soggetti che operano nel campo dell'economia sociale si è ampliato. “I dati forniti dall'Osservatorio Isnet ci dicono già qualche cosa di quello che saremo. Quest'area, quella dell'economia sociale o white economy è un'area con potenzialità occupazionali importanti. Facilitare l'accesso al credito, favorire l'investimento nel capitale, non tassare gli utili totalmente reinvestiti nell'oggetto sociale dell'impresa sono le scelte fatte nell'ambito della Riforma del terzo Settore a favore del suo sviluppo”.
A conclusione dell’evento di presentazione della ricerca, Caterina Pozzi, Amministratrice Delegata Open Group Cooperativa Sociale, Carlo Signorini, di LaMiaPelle, Impresa Sociale Srl e Francesco Serventi, della Società Benefit Croqqer Italia Srl hanno raccontate le rispettive esperienze su come il non profit possa aumentare il proprio impatto lavorando insieme all'impresa.
Sul fronte delle Società Benefit e B Corp, l’analisi Isnet ha invece evidenziato un atteggiamento di diffidenza: “Le collaborazioni con la Cooperazione sociale rappresentano una opportunità, ancora in gran parte inesplorata, anche per acquisire know how nelle esperienze di generazione del valore sociale”
“In questo contesto, la creazione di percorsi di accompagnamento e di valorizzazione reciproca tra profit e non profit – continua Laura Bongiovanni – è un obiettivo che da tempo perseguiamo e l’Osservatorio Isnet rappresenta sia un momento di sintesi, ma soprattutto un’occasione per cogliere opportunità in questa direzione. Osserviamo con favore, casi di contaminazione molto interessanti; ad esempio, imprese profit che chiedono consulenza al Terzo Settore sul piano degli inserimenti occupazionali di persone svantaggiate; il welfare aziendale per la fornitura di servizi ai dipendenti e per la sanità integrativa, anche con il coinvolgimento delle Società di Mutuo Soccorso; ancora, il social procurement per l’acquisto di prodotti e servizi con ricadute e impatto sociale. Proprio sull’impatto sociale, stiamo ultimando un’analisi di valutazione che verrà presentata il prossimo autunno”.
Alla presentazione della ricerca è intervenuto il Sottosegretario al Welfare Luigi Bobba che ha sottolineato l’importanza della ricerca dell'Associazione Isnet in un momento in cui la platea dei soggetti che operano nel campo dell'economia sociale si è ampliato. “I dati forniti dall'Osservatorio Isnet ci dicono già qualche cosa di quello che saremo. Quest'area, quella dell'economia sociale o white economy è un'area con potenzialità occupazionali importanti. Facilitare l'accesso al credito, favorire l'investimento nel capitale, non tassare gli utili totalmente reinvestiti nell'oggetto sociale dell'impresa sono le scelte fatte nell'ambito della Riforma del terzo Settore a favore del suo sviluppo”.
A conclusione dell’evento di presentazione della ricerca, Caterina Pozzi, Amministratrice Delegata Open Group Cooperativa Sociale, Carlo Signorini, di LaMiaPelle, Impresa Sociale Srl e Francesco Serventi, della Società Benefit Croqqer Italia Srl hanno raccontate le rispettive esperienze su come il non profit possa aumentare il proprio impatto lavorando insieme all'impresa.
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