Cultura

Biblioteche future: la sfida è il bene comune digitale

Occupano spazio, consumano risorse, subiscono la concorrenza del digitale. Per questo amministratori e politici di tutto il mondo le mettono in cima alla lista dei tagli alla spesa pubblica. È lecito comunque porsi una domanda: le biblioteche hanno ancora senso come luoghi e spazi comuni? John Palfrey, giurista di Harvard, direttore e fondatore della Digital Public Library of America, è convinto che "nell'era di Google sono più importanti che mai". Scopriamo perché

di Marco Dotti

Biblioteche: tre immagini per un mondo che cambia

Prima immagine: un uomo solo in una tenda, nel campo di Idomeni. Legge. Forse sono preghiere, forse no, ma quello che tiene in mano, con atteggiamento rispettoso e composto, è inequivocabilmente un libro. È il 20 marzo 2016.

Seconda immagine: bambini nigeriani, ospiti nel campo profughi di "Bayernkaserne" a Monaco di Baviera. Anche loro leggono. E partecipano al programma triennale di avviamento alla lettura voluto dal Ministro della Ricerca e dell'Educazione della Repubblica federale. È il 21 marzo 2016.

Terza immagine: ragazzi di colore in una biblioteca. Apparentemente quei ragazzi fanno altro, non leggono. La biblioteca è quella pubblica numero 10, – "Kirjasto 10" – 800 metri quadrati nel cuore di Helsinki, diretta Kari Lämsä, frequentata per il 60% da giovanissimi e da persone sotto i 30 anni. È il 22 marzo 2016.

Prendersi il rischio di pensare

Che cosa hanno in comune l'uomo nella tenda a Idomeni, i bambini nella biblioteca di Monaco e i frequentatori di Kirjasto 10? Tutti usufruiscono di un bene più o meno materiale, più o meno immateriale. Qualcosa che ha a che fare con la cultura, la fiducia, la relazione. Il futuro.

Quel libro di preghiere a Idomeni, i libri tra le mani dei bambini a Berlino, i servizi a Helsinki non si sono materializzati per via impersonale. Per generare valore e legame per le persone che ne fruiscono hanno avuto bisogno di altre persone, di altri legami: hanno avuto bisogno di biblioteche, di archivi e di bibliotecari. La "fruizione" è solamente il segno tangibile di un processo senza fine che coimplica spazi, luoghi e cultura. Il rapporto fra spazi, cultura e luoghi è, oggi, una questione cruciale per il futuro delle biblioteche e di quel bene comune che da almeno un secolo e mezzo le biblioteche hanno saputo rappresentare, tutelare, preservare. Anche tra le bombe, le crisi e la guerra.

Riconfigurare il modello

Proprio nella biblioteca diretta da Lämsä, da molti presa a modello, questo rapporto si è fortemente riconfigurato per rilanciare la una sfida, non solo per reagire al mutato orientamento dei nuovi lettori. Anzi, oggi i frequentatori di una biblioteca non sempre sono lettori: le biblioteche offrono anche altro, oltre alla lettura. A Helsinki, comunque, ci si è presi il rischio di pensare, ripensando al contempo il rapporto fra luogo e tecnologia, fra memoria e innovazione.

Le biblioteche, spiega Kari Lämsä, « non sono posti da prendere troppo sul serio. Non dovremmo avere paura di commettere errori. Le biblioteche non sono ospedali. Un nostro sbaglio non uccide esseri umani, perciò possiamo permetterci di fare errori senza paura. Possiamo continuare a procedere per tentativi. La biblioteca è sempre stata un luogo in cui fruire di cultura e informazioni. Ma oggi più che mai la biblioteca è diventata un luogo dove creare informazione, cultura e integrazione».

Avamposti del bene comune

Sono finiti i tempi in cui, a chi gli chiedeva di tagliare fondi per la cultura per destinare più risorse agli armamenti, un Primo Ministro poteva rispondere: «E senza la cultura con quali mezzi vinceremo? La guerra la stiamo combattendo per questo». Sono finiti i tempi di Winston Churchill – il primo ministro in questione, premio Nobel per la letteratura nel 1953. In Inghilterra, negli ultimi sei anni, hanno chiuso 350 biblioteche pubbliche. Altre 111 chiuderanno entro la fine dell'anno. In tutto, fanno 8mila bibliotecari in meno. Anche questa è una Brexit, ma verso il nulla. Gli altri Paesi dell'UE non stanno meglio, eccezion fatta per quelli Scandinavi dove le biblioteche sono parte attiva del modello di welfare.

Tagli per tutti

La motivazione addotta per questi tagli è la stessa di sempre, a ogni latitudine: occupano spazio, consumano risorse, subiscono la concorrenza del digitale. Per queste irragionevoli ragioni amministratori e politici di tutto il mondo le pongono in cima alla lista dei tagli alla spesa pubblica. Davanti ai processi integrali di digitalizzazione che hanno radicalmente modificato il nostro mondo, è comunque lecito porsi una domanda. Domanda che, vista l'urgenza e visti i tempi, assume venature non meramente contabili: hanno ancora senso le biblioteche? Hanno senso come luoghi?

John Palfrey, giurista di Harvard, direttore e fondatore della Digital Public Library of America, autore dell'interessantissimo saggio Bibliotech (traduzione di Elena Corradini, Editrice Bibliografica, Milano 2016) è convinto che «nell'era di Google le biblioteche sono per iù importanti che mai». A patto di capire i cambiamenti.

Per quanto possa sembrare paradossale, le indagini più rigorose – tanto negli Usa, quanto in Europa – ci dicono che i più assidui frequentatori e fruitori di biblioteche sono i ragazzi. Questa è un'ottima notizia, ci spiega John Palfrey, perché le biblioteche non solo accolgono e raccolgono, ma espongono. Espongono a una possibilità di conoscenza maggiore: l'incontro personale, con un libro, una rivista, l'occasione di apprendere l'uso di nuove tecnologie o servizi. Questi ragazzi apprendono e vivono in un unico ambiente, misto di digitale e analogico. La loro realtà non è una vita "offline" o "online", è semplicemente la vita. Capirlo è essenziale, soprattutto oggi che le biblioteche si trovano in competizione con spazi commerciali che offrono connessioni internet gratuite o possibilità di incontro disintermediato.

Le biblioteche non sono posti troppo seri. Non dovremmo avere troppa paura di commettere errori. Le biblioteche non sono ospedali. Un nostro sbaglio non uccide esseri umani, perciò possiamo permetterci di fare errori senza paura. Possiamo continuare a procedere per tentativi. La biblioteca è sempre stata un luogo in cui fruire di cultura e informazioni. Ma oggi più che mai la biblioteca è diventata un luogo dove creare informazione e cultura

Kari Lämsä, direttore di Kirjasto 10

La biblioteca: il terzo luogo

Da quando sono nate, le biblioteche sono state "terzi luoghi", rispetto al luogo del lavoro e al luogo interamente privato dell'abitazione. Spazi di intimità e condivisione, ma anche avamposti di civiltà oggi più essenziali che mai. John Palfrey osserva come molte delle biblioteche pubbliche americane costitutitesi agli inizi del XX secolo grazie ai lasciti e alla filantropia del magnate Carnegie sono state chiuse o riconvertite ad altri scopi. Subiscono la concorrenza di nuovi "terzi luoghi": centri commerciali, Starbucks, McDonald. Luoghi nei quali – e questo è un dato cruciale, che Palfrey invita a considerare con attenzione – si offrono connessioni internet wifi gratuite. Quelle connessioni che un numero sempre crescente di americani – ed europei – non può più permettersi. Con una scuola che impone ai propri studenti ricerche sul web, recarsi in quei luoghi di consumo e consumare, per usufruire della connessione wifi forse riduce il digital divide, ma di certo accresce il divario culturale.

Bisogna per prima cosa abbandonare l'idea che quando (ammesso che) non ci saranno più libri se non in formato digitale, le biblioteche non avranno più ragione di esistere. Al contrario, proprio la loro funzione di terzo luogo rende evidente che devono esserci. Non come mero residuo romantico, ma come avamposto del bene comune.

Mai come oggi, i luoghi in cui poter studiare, scrivere, pensare liberamente e liberamente condividere sono essenziali. Le biblioteche dovrebbero – e in gran parte lo stanno facendo, è il caso emblematico della n. 10 di Helsinki, che possiede studi di montaggio e registrazione audio-video – trasformarsi da luoghi dove l'informazione viene conservata, a luoghi dove viene creata e condivisa.

Finché in una comunità esistono biblioteche e bibliotecari preparati e competenti l'accesso alla cultura non è determinato da quanto denaro abbiamo in tasca o dal colore della nostra carta di credito. Per questa ragione, spiega Palfrey, «se non si riesce a investire nelle biblioteche durante questo periodo di transizione dall'analogico al digitale metteremo a rischio le funzioni essenziali» della conservazione e dell'innovazione, proprio quando ci servono di più. I luoghi, in questo, sono essenziali.

Ecco allora che la risposta alla domanda "servono ancora le biblioteche?" non può che essere affermativa: sì, servono. «Se non sosteniamo le biblioteche fisiche, perderemo, nelle nostre comunità, quegli essenziali luoghi intellettuali pubblici dove le persone possono incontrarsi faccia a faccia». Le biblioteche fisiche e digitali non solo alternative l'una all'altra, ma complementari.

Colui che riceve un'idea da me, ne ricava un beneficio senza inficiare la mia idea. Così come chi accende la sua candela con la mia, riceve luce senza farmi ombra. Che le idee si diffondano libere dall'uno all'altro in tutto il mondo, per l'istruzione morale e reciproca dell'uomo e il miglioramento della sua condizione, sembra sia stata una cosa preordinata in modo peculiare e con benevolenza dalla natura

Thomas Jefferson, lettera a Isaac McPherson, 13agosto 1813

Per questo, le biblioteche devono giocare la loro parte. In un mondo solo apparentemente disintermediato, dove la maggior parte degli utenti del web e degli studenti usa strumenti di ricerca senza particolari capacità e senza abilità nello sfruttarli a dovere, il bibliotecario assume il ruolo chiave di un traghettatore, radicalmente diverso eppure necessario e complementare a quello degli insegnanti. Riconfigurare gli spazi delle biblioteche, non solo come "deposito", è la sfida, perché, spiega Palfrey, «senza gli spazi pubblici messi a disposizione dalle biblioteche, le persone più fragili non avranno luoghi sicuri nel quale accedere alle informaizoni, pensare, scrivere e apprendere».

La sfida, per le biblioteche, non è quindi rappresentata tanto dalla digitalizzazione del cartaceo, quando dall'avanzata di pseudo-luoghi, luoghi non neutri come i centri commerciali o i fast food, che a orari molto flessibili – in certi casi anche 24 ore su 24 – offrono "gratis" connessioni internet veloci e uso di tablet. In sostanza, l'alternativa è fra il costruire uno scenario favorevole e ben intermediato all'uso delle tecnologie – e, qui, biblioteche e bibliotecari possono giocare la loro parte come decisiva – o accettare e subire lo scenario che verrà – e, in questo caso, è solo questione di tempo. Senza un Churchill o un Andrew Carnegie all'orizzonte il futuro delle biblioteche rischierebbe di essere segnato per sempre. E il nostro con loro.

Il libro
BiblioTech. Perché le biblioteche sono importanti più che mai nell'era di Google, traduzione di Elena Corradini, Editrice Bibliografica, Milano 2016.
Scrive di lui Robert Darnton: “Palfrey è straordinariamente convincente nel dimostrare l’importanza delle biblioteche nell’era dei motori di ricerca. Con sapienza e intelligenza mostra come dalle biblioteche dipenda un futuro digitale democratico, lontano da nostalgie passatiste, per una migliore comprensione del loro peso nell’ecosistema informativo attuale”.

L'autore
Preside della Phillips Andover Academy (Massachusetts), è stato tra gli artefici della riorganizzazione della Harvard Law School Library ed è direttore e fondatore della Digital Public Library of America. Le sue principali linee di ricerca e insegnamento riguardano i nuovi media e le strategie di apprendimento. È autore di Nati con la rete. La prima generazione cresciuta su Internet, scritto con Urs Gasser.

In copertina: Stadtbibliothek di Stoccarda (photo by Thomas Leuthard)

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