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Manes: «Ecco cos’è e cosa farà Fondazione Italia Solidale»

Vincenzo Manes, imprenditore e filantropo, consulente probono del premier Matteo Renzi in materia di sociale e Terzo settore, è amareggiato per le polemiche intorno all'introduzione della Fondazione Italia Sociale nella Riforma del Terzo settore. In questa intervista risponde alle critiche “mai nel merito” e rilancia le ragioni dell'iniziativa da lui sognata da almeno otto anni.

di Riccardo Bonacina

L’istituzione della Fondazione Italia Sociale prevista all’art. 10 della Legge delega di Riforma del Terzo settore, impresa sociale e Servizio civile Universale licenziata dal Senato e poi approvata in via definitiva alla Camera il 25 maggio scorso, è stato indubbiamente uno dei punti che ha dato spunto di maggior polemica nell’ultimo miglio di un percorso lungo due anni. Nel dibattito assai lunare di questo mese la Fondazione Italia Sociale ha catalizzato quasi ogni negatività sulla Legge delega di Riforma del Terzo settore: un favore a un amico del premier Matteo Renzi, un’istituzione inutile, un ulteriore sperpero di risorse pubbliche, e via dicendo.

Enzo Manes, finanziere, imprenditore (è tra l’altro cavaliere del lavoro) e filantropo (la sua creatura è la Fondazione Dynamo, è membro di Fondazione olivetti e di Committe to encourage corporate philantrophy), consulente pro bono del premier Matteo Renzi in materia di sociale e Terzo settore, ha fortemente voluto e lavorato per l’introduzione della Fondazione Italia Sociale. Naturale che sia amareggiato per le polemiche e le incomprensioni. L’idea di una grande fondazione finanziata in partenza dallo Stato per promuovere il Terzo settore la coltiva da tempi non sospetti, da anni visto che già il 23 maggio del 2008 scriveva su Il Sole 24 Ore un articolo, intitolato “Una superfondazione per l’Italia”, in cui caldeggiava, appunto, la nascita di una fondazione con una iniziale dotazione finanziaria pubblica. Idea su cui poi ritornerà con un articolo su Il Corriere della sera nel luglio 2013 proponendo una vera e propria “Iri del Sociale”. Scriveva in quell’articolo Manes: “Propongo la creazione di un «Progetto Italia» per il lavoro, finanziato da una «tassa di scopo», una patrimoniale ad hoc, separata dal bilancio dello Stato, che vada a costituire una sorta di Iri delle imprese sociali, per finanziare progetti innovativi nei settori quali la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale, i beni ambientali, il turismo, le attività ad alto rilievo sociale”. Manes, tre anni dopo pentito di quella definizione? “L’Iri del sociale” definizione con la quale lei voleva sottolineare la grande spinta allo sviluppo negli anni ‘50/60 le si è ritorta contro, ora la usano per significare un carrozzone pubblico 2.0.

Manes: Pentito è una parola forte, più che altro bisogna collocare quel ragionamento nel periodo in cui è stata fatto e considerare che quella proposta ha bucato anche per quella definizione. Allora io buttavo un sasso nello stagno di una politica ferma da troppi anni e di una disattenzione generale sul tema della necessità di una crescita dell’economia sociale in questo Paese, e quella definizione fu utile a catturare attenzione. Allora non pensavo certo che quel mio sogno potesse diventare realtà. Certo che ora quella definizione pesa anche per il voluto fraintendimento che n’è stato fatto.

Ha pesato anche la tempistica non felice, l’introduzione della proposta all’ultimo miglio, una comunicazione non felice e sempre in difesa quasi incapace di darne ragione ha trasmesso l’idea di una forzatura…

Manes: Sono del tutto d’accordo. Andava promossa e comunicata per quel che è, una grande iniziativa per indirizzare più risorse e risorse private verso la parte di popolazione che più ne ha bisogno, una grande iniziativa per sviluppare l’economia sociale e il suo potenziale occupazionale. Lo scopo fondamentale della Fondazione è quello di far sì che questo Paese che dona circa 10 miliardi di euro come ha dimostrato proprio Vita, possa essere in grado, anche attraverso questo strumento, di raccogliere molto di più.

Immagina una raccolta sia dal privato corporate che dai cittadini

Manes: Certo, non avendo noi i grandi filantropi all’americana, o comunque le grandi risorse private che poi vengono messe a disposizione della comunità, abbiamo bisogno di uno strumento che renda possibile una responsabilità collettiva verso le sorti del nostro Paese, poco da tutti per un impegno comune. La Fondazione è uno strumento affinché si possa donare di più e si possa donare in maniera sistematica e continuativa e con una modalità trasparente per mettere in campo azioni e iniziative improntate all’efficacia e all’efficienza. Inutile continuare a lamentarsi che il public budget non abbia risorse sufficienti, occorre mettere in campo qualcosa di nuovo. Qualcuno ha idee migliori? Le faccia, ma sinora non le ho sentite, tanto meno nel dibattito parlamentare.

Fondazione Italia Sociale è una grande iniziativa per indirizzare più risorse e risorse private verso la parte di popolazione che più ne ha bisogno, una grande iniziativa per sviluppare l’economia sociale e il suo potenziale occupazionale

Forse val la pena sottolineare una volta di più che la Fondazione non mira a drenare ulteriori risorse pubbliche ma a raccogliere risorse private per un utilizzo pubblico.

Manes: Certo, Banca Italia ci dice che nel 2014 la ricchezza finanziaria detenuta dalle famiglie italiane ha toccato i suoi massimi storici con quasi 4.000 miliardi di euro, per l’esattezza 3.738 mld) e il rapporto ci indica come esistano due Italie, quella pubblica con i conti sempre in bilico, e quella privata sempre più ricca. È una situazione ingiusta, insostenibile, il compito della Fondazione è quello di ridurre questo gap, pensi se tutti donassero l’un per mille! Sarebbero 4 miliardi in più per il sociale. Riguardo alle risorse pubbliche noi miriamo piuttosto a intercettare quella parte di Fondi europei che si continuano a non spendere per il bene di questo Paese.

Nella legge delega lo scopo della Fondazione è però ben descritto “sostenere, mediante l’apporto di risorse finanziarie e di competenze gestionali, la realizzazione e lo sviluppo di interventi innovativi da parte di enti del terzo settore, caratterizzati dalla produzione di beni e servizi con un levato impatto sociale e occupazionale e rivolti, in particolare, ai territori e ai soggetti maggiormente svantaggiati”. Una mission chiara e assai coerente con le finalità della Riforma, ma se posso chiederle, perché a lei, che del premier Renzi è anche consulente pro bono per il Terzo settore, la Fondazione è parsa uno strumento importante per realizzare gli scopi della Riforma? Quale la sua necessità?

Manes: Ecco, ma nessuno ha letto quelle 25 righe, come al solito il merito nella polemica politica non conta, cosa ci vuol fare? Bisognerebbe cambiare ma non è nei miei poteri (ndr. risata). Sarà stato impostato male come lei ha sottolineato ma è stato un dibattito lunare che non ha assolutamente preso in considerazione il merito dell’art. 9. Il tema: è visto che le risorse pubbliche sono scarse, è meglio destinare le risorse pubbliche per sollecitare capitali privati in forma di donazione – senza nessun rendimento, per quanto low.

Chiariamo, quindi non ci sarà nessun ritorno sulle risorse raccolte, saranno donazioni?

Manes: Certo si tratta di donazioni, a fondo perduto. Uno degli strumenti che sicuramente la Fondazione dovrà mettere in campo è quello che io chiamo Fondo filantropico italiano. Siccome siamo un paese in cui malgrado tutto resiste un profondo tessuto di solidarietà che emerge quando c’è bisogno, la questione è far emergere questa disponibilità dall’informalità, per interagire con un uso più intelligente delle risorse pubbliche. Proprio il contrario della dicotomia stato-mercato che mi si imputa. A questo occorre con urgenza dedicarsi, a me pare. La sfida è sviluppare l’imprenditorialità sociale all’interno del Terzo settore, per renderlo meno dipendente dalla finanza pubblica. La vera innovazione oggi sta infatti nel coalizzare risorse pubbliche e risorse private, senza scopo di lucro, per investire in progetti sociali in grado di stare in piedi con le proprie gambe, in piena autonomia economica. Per questo accompagneremo i progetti per almeno 10 anni.

Con che strumenti raccoglierete il denaro?

Manes: Con gli strumenti che qualsiasi fondazione mette in campo, sulla base di credibilità, reputazione, capacità e queste saranno le nostre sfide, quelle che abbiamo davanti. Ci stiamo già lavorando, spero che entro fine anno si possa partire.

Ha già dei target, degli obiettivi in testa?

Manes: No ho dei sogni. Quello di fare una raccolta di un miliardo di euro l’anno per poter restituire 995milioni di donazioni. Noi per legge abbiamo la non conservazione del patrimonio. Noi dobbiamo donare e il vero tema sarà di farlo in maniera efficace e trasparente.

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