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Così la Riforma del Terzo settore realizza tre sogni
L'editoriale di Riccardo Bonacina sul bookazine in edicola da venerdì. “La Riforma rende possibili almeno tre sogni per cui Vita e le organizzazioni del suo Comitato editoriale si sono battute in questi anni spiegando in ogni occasione e con ogni mezzo le ragioni per cui le energie sociali andavano liberate e non imbrigliate se davvero si voleva procedere alla più importante opera pubblica: quella di costruire un’infrastruttura sociale capace di rigenerare coesione sociale, fiducia e percorsi economici e di produzione di beni e servizi non orientati alla massimizzazione dei profitti ma piuttosto orientati all’impatto sociale e al bene comune”
Dopo un percorso di quasi due anni (fu approvata dal Consiglio dei ministri il 10 luglio 2014) la Legge delega di Riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e del Servizio civile ha finalmente avuto il via libera dal Parlamento.
È la legge migliore? No, si poteva avere più coraggio spingendo un passo più in là gli aspetti innovativi che la delega comunque contiene. È però la miglior legge possibile in un contesto che ha visto il Parlamento attardarsi in discussioni lunari improntate più alla demagogia politica e di parte e a una concezione del bene pubblico ancora coincidente (ancora!?) con l’iniziativa statale. Impressionanti da questo punto di vista le posizioni del Movimento 5 Stelle che in ogni occasione ha dimostrato di guardare al Terzo settore non come motore di cambiamento culturale ed economico ma come mera croce rossa sociale non rendendosi neppure conto che questo è il più grande regalo che si può fare ai signori del profitto che vorrebbero speculare anche sui bisogni dei poveri e dei malati. Un cammino, quello della Riforma che si è svolto, sottolinea Luigi Bobba sottosegretario alle Politiche sociali che è stato un tenace e intelligente protagonista del lavoro di scrittura e di ascolto in questi due anni — “attraverso un viaggio per lo stivale che ha coinvolto migliaia organizzazioni non profit” — , e che ha dovuto fare i conti anche con la paura del cambiamento di una parte residuale del non profit italiano adagiata su posizioni di rendita sempre più fragili e incerte.
In ogni caso il via libera definitivo alla legge delega di Riforma segna una vera svolta e di non ritorno per il Terzo settore italiano che davvero, come ha titolato in prima pagina Avvenire, ora può “farsi primo”. La Riforma rende possibili almeno tre sogni per cui Vita e le organizzazioni del suo Comitato editoriale si sono battute in questi anni spiegando in ogni occasione e con ogni mezzo le ragioni per cui le energie sociali andavano liberate e non imbrigliate se davvero si voleva procedere alla più importante opera pubblica (non statale ma pubblica, ovvero che riguarda i modi di vivere di tutti noi): quella di costruire un’infrastruttura sociale capace di rigenerare coesione sociale, fiducia e percorsi economici e di produzione di beni e servizi non orientati alla massimizzazione dei profitti ma piuttosto orientati all’impatto sociale e al bene comune.
Il primo sogno che ora si realizza è che il Terzo settore viene definitivamente tolto dal regime concessorio cui il Codice civile del 1942 (Libri I, Titolo II), ovvero fascista, lo costringeva. Ora il Terzo settore italiano avrà finalmente un pavimento civilistico su cui appoggiarsi e su cui appoggiare la sua crescita. Un pavimento civilistico che oltre a definire cosa il Terzo sia: “il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi” (art. 1), rende possibile una legislazione unitaria, un Codice unico del Terzo settore e un Registro unico, un Organismo di rappresentanza istituzionale. Basta con i 300 registri (nazionali, regionali, provinciali), il Terzo settore ha bisogno di semplificazione e i cittadini di trasparenza.
Il secondo sogno che ora diventa possibile è quello di una vera impresa sociale capace di assumersi le grandi sfide che abbiamo di fronte, la gestione di beni pubblici (beni artistici e culturali, acqua, mobilità, nuovo welfare), la creazione di nuova occupazione, l’attrazione di investimenti orientati all’impatto sociale, l’internazionalizzazione delle realtà del Terzo settore italiano. Con l’impresa sociale disegnata nella delega diventerà ora possibile non solo la coprogettazione tra Pubblica amministrazione e privato sociale, ma la coproduzione di beni e servizi tra privato sociale, Pubblica amministrazione e investitori privati. Insieme per produrre nuovo valore e nuove risposte a bisogni sempre diversi e urgenti.
Il terzo sogno che si realizzato, un sogno per cui ci siamo tanto battuti è il Servizio civile Universale, ovvero un Servizio civile che abbia una capienza tale da non dover dire no neppure a un giovane che si voglia impegnare a favore degli altri e della comunità, tendenzialmente un Servizio civile in grado di dire sì ad almeno 100mila giovani. I giovani italiani con un’età compresa tra i 15 e i 29 anni, che non studiano né lavorano, sono 2,3 milioni. Uno su quattro. Il presidente della Bce Mario Draghi teme che l’Europa, nel suo cupo immobilismo, rischi di perdere un’intera generazione. Il dato dell’Istat sui cosiddetti Neet (Not in education, employment or training) ne è una drammatica prova. Il Servizio civile universale è una grande opportunità per favorire l’ingaggio civico di migliaia di giovani. “Un master civile” l’ha definito giustamente Ferruccio De Bortoli. Un master di cittadinanza attiva.
Rendendo possibile questi sogni, i sogni dell’Italia che fa qualcosa in più del proprio dovere, questa Riforma rende vivi e praticabili i principi Costituzionali espressi negli articoli 2, 3, 18 e 118 ed è per questo che non sbaglia chi definisce questa Riforma come un vero e proprio Civil Act o addirittura la paragona a una Riforma costituzionale proprio perché dà attuazione a suoi principi fondanti. Finalmente.
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