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Italia e Africa si corteggiano

Per la prima volta nella sua storia, l’Italia organizza una conferenza ministeriale di alto livello sull’Africa. Hanno risposto all’invito del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale 52 Paesi africani, con oltre 40 ministri degli Esteri e una ventina di rappresentanti delle organizzazioni internazionali. Presenza compatta delle istituzioni italiani con la partecipazione di Renzi, Mattarella, Gentiloni, Alfano, Martina, Galletti e il vice ministro con delega alla cooperazione internazionale e all’Africa, Mario Giro. Al menù: migrazioni, sostenibilità economica e socio-ambientale, pace e sicurezza. Le sfide non mancano.

di Joshua Massarenti

Mai nella sua storia l’Italia aveva accolto sul suo territorio una delegazione africana così imponente. Ma non accade spesso che il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale organizzi, in collaborazione con l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, una Conferenza ministeriale di alto livello tra Italia e Africa. Per la prima edizione, sono giunti a Roma delegati di 52 paesi africani, tra cui una quarantina di ministri degli Esteri, e una ventina di rappresentanti delle organizzazioni internazionali, tra cui la Presidente della Commissione dell’Unione Africana, Dlamini Zuma, il suo commissario per la pace e la sicurezza, Smail Chergui, e il presidente del Consiglio dell’Unione Africana e del gruppo G5 Sahel, Moussa Faki Mahamat. Che si tratti di un evento senza precedenti lo dimostra la presenza delle più alte cariche dello Stato italiano, a partire dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a loro volta affiancati dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e il suo Vice ministro con delega alla cooperazione internazionale e all’Africa, Mario Giro.

Gli interessi strategici dell’Italia in Africa

Ma il governo italiano vuole convincere i suoi partner africani che le quattro tematiche che verranno discusse nelle sessioni previste dalla conferenza necessitano la partecipazione di ministri competenti. Secondo alcune fonti, la presenza come keynote speaker del ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, nella sessione Sostenibilità economica – Italia-Africa, le sfide per una crescita comune”, lascia intuire la volontà del governo di aumentare gli scambi commerciali nel settore agro-industriale; più scontata appare la partecipazione del ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti, nella seconda sessione “Sostenibilità socio-ambientale”, mentre scontatissima è quella del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, nel panel dedicato alle migrazioni. La quarta e ultima sessione – incentrata sulla pace e la sicurezza – sarà presieduta da Mario Giro, che vanta una lunga esperienza nella Comunità di Sant’Egidio, nota per il suo impegno nei processi di pacificazione in Africa.

“Questa conferenza segna una continuità dell’azione del governo nei confronti del continente africano i cui inizi risalgono all’inizitiva Italia-Africa lanciata dalla Farnesina nel 2013”, sostiene a Vita.it Giovanni Carbone, responsabile del dipartimento Africa dell’ISPI. Seguiranno i tre tour compiuti dal Premier Renzi tra il 2014 e il 2016 (toccando una decina di paesi) e le visite di Stato effettuate due mesi fa dal Presidente Mattarella in Etiopia e in Camerun. Il tutto all’insegna della volontà di costruire una partnership paritaria dove l’Africa non è più percepita come un continente solamente afflitto da guerre e miseria sociale, ma al contrario una regione in piena crescita economica e quindi in grado di offrire molte oppportunità.

Questa conferenza segna una continuità dell’azione del governo nei confronti del continente africano i cui inizi risalgono all’inizitiva Italia-Africa lanciata dalla Farnesina nel 2013.

Giovanni Carbone, responsabile Dipartimento Africa dell’ISPI

L’Italia, settimo partner commerciale dell’Africa

E quali soni allora i rapporti tra Italia e Africa sul versante economico. Secondo una nota realizzata dalla Farnesina, “nel 2014 l’Italia si è attestata al 7° posto tra i partner commerciali dell’Africa, con un interscambio complessivo pari a 40,65 miliardi di euro, pari al 5,2% dell’interscambio dell’Africa con il resto del mondo”. Il nostro paese rimane lontanissimo dalla Cina, primo partner commerciale dell’Africa, che nel 2013 ha scambiato prodotti commerciali con paesi africani per una cifra che superava i 177 miliardi di euro. Dopo la Cina seguono India, Francia, Stati Uniti, Spagna e Germania. “Nel 2015” si legge nella nota, “l’Italia ha esportato verso il continente africano soprattutto prodotti del settore manifatturiero per un totale di oltre 18 miliardi di euro, pari a circa il 97% dell’export totale. Vengono esportati in primo luogo macchinari e apparecchiature (4,8 miliardi), prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio (2,7 miliardi) e prodotti della metallurgia (1,5 miliardi)”. Viveversa, “l’Italia importa dall’Africa in misura maggioritaria i prodotti del settore minerali e miniere per un totale di circa 10 miliardi di euro, pari al 53,9% dell’import totale”. L’interesse dell’Italia nei confronti dell’Africa viene confermato dai dati relativi agli investimenti diretti esteri che sono passati da 190 milioni di euro nel 2008 a 310 milioni nel 2012. Il fatto che il continente africano continui a registrare alti tassi di crescita economica “aprono un progressivo numero di opportunità per le imprese italiane, specialmente in alcuni settori quali l’energia, le infrastrutture e l’agroalimentare”. I Paesi del continente su cui l’Italia investe sono divisi in due categorie: “la prima categoria include i Paesi già d’interesse per le imprese italiane sufficientemente strutturate per affacciarvisi”, quindi Ghana, Senegal, Congo, Sudafrica, Camerun ed Etiopia; “la seconda categoria riguarda i Paesi le cui prospettive d’interesse per le aziende italiane, almeno quelle più piccole, sono più lontane, ma verso i quali è opportuno continuare a riservare un’attenzione politica particolare”.

Nel 2014 l’Italia si è attestata al 7° posto tra i partner commerciali dell’Africa, con un interscambio complessivo pari a 40,65 miliardi di euro, pari al 5,2% dell’interscambio dell’Africa con il resto del mondo.


Fare sistema con la cooperazione italiana allo sviluppo

L’unica via possibile per consentire all’Italia di accrescere la sua presenza in Africa è fare sistema. La nuova Legge 125 della Cooperazione italiana, che tra l’altro ha previsto la creazione di un’Agenzia di sviluppo (lanciata nel gennaio scorso) e del coinvolgimento di nuovi attori come la Cassa Depositi e Prestiti per rafforzare il settore privato attraverso operazioni di blending, dovrebbe facilitare questo processo. La Conferenza sarà sicuramente un’occasione per Paolo Gentiloni e Mario Giro per porre l'attenzione sulla riforma della cooperazione italiana e l’aumento dei fondi destinati agli aiuti allo sviluppo. In febbraio, il ministro degli Esteri ricordava su Vita.it che “la legge di Stabilità 2016 ha aumentato le risorse a disposizione per la Cooperazione allo sviluppo di ben 120 milioni di euro per il 2016, che diventeranno 240 milioni nel 2017 e 360 nel 2018”. Non solo. Quello che il ministro e il vice ministro metteranno in luce è lo spirito della legge 125, ovvero favorire il mix tra APS e investimenti privati nel rispetto dei diritti umani e ambientali, attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori della cooperazione italiana, vecchi e nuovi: ong, associazioni, cooperative, imprese, diaspore, ecc.

Il seggio non permamente del Consiglio di sicurezza

La data scelta dal governo per accogliere l’Africa a Roma non è casuale: l’appoggio dei paesi africani nelle elezioni previste il 28 giugno per l’assegnazione di un seggio non permamente del Consiglio di sicurezza a cui ambisce l’Italia è determinante. Per essere eletti membri del Consiglio di Sicurezza, i paesi candidati devono ottenere una maggioranza di due terzi dei voti espressi dai rappresentanti degli Stati membri presenti e aventi diritto voto in seno all'Assemblea Generale, che sono 192. L’Africa ne conta 52. I calcoli sono presto fatti. “Ma l’interesse degli italiani nei confronti dell’Africa non si limita a questo seggio”, assicura Carbone. “Le migrazioni sono un tema sicuramente molto importante su cui l’Italia intende giocare un ruolo di primo piano”, proponendosi come interlocutore privilegiato del continente africano in ambito europeo e presso le Nazioni Unite. Il migration compact, attraverso il quale Matteo Renzi chiede all’UE di orientare la sua attenzione e i suoi sforzi verso i paesi in via di sviluppo, special modo l’Africa, troverà sicuramente un appoggio sulla sponda africana.

La Conferenza sarà sicuramente un’occasione per Paolo Gentiloni e Mario Giro di porre l'attenzione sulla riforma della cooperazione italiana e l’aumento dei fondi destinati agli aiuti allo sviluppo.

Le sfide del Migration compact

E se è vero che le sorti del Migration Compact si deciderranno in gran parte a Bruxelles, i paesi africani possono bene o male influire sul dibattito europeo. Il Summit UE-Africa di La Valletta tenutosi in novembre 2015 è stato un primo banco di prova in cui i paesi europei sono riusciti ad imporre gran parte dell’agenda politica comune sulle migrazioni. Per lottare le cause profonde dell’immigrazione irregolare, l’UE ha deciso di stanziare oltre 1,8 miliardi di euro a favore di 23 paesi africani (ed eventualmente quelli a loro limitrofi) da qui al 2020.

Molte organizzazioni hanno gridato allo scandalo quando l’UE ha siglato un accordo simile con la Turchia, stanziando ad Ankara tre miliardi di euro di aiuti approvati nel vertice di novembre per la gestione dei campi profughi e Bruxelles è disposta ad aggiungere “fino a un massimo di altri tre miliardi entro fine 2018”, ma solo dopo che i primi tre miliardi saranno spesi. Sei miliardi di euro in totale quindi, in appena tre anni, il che fa una media di due miliardi all’anno per un solo paese (la Turchia, appunto) contro una media annua pari a 15,6 milioni di euro per ognuno dei 23 paesi africani.

In Africa qualcuno ha capito il bluff, ed è il governo keniota, che per voce del suo ministro degli Interni ha annunciato la sua volontà di chiudere due campi profughi: quello di Dadaab, il più grande al mondo, che accoglie 344mila profughi, per lo più somali; e quello di Kakuma, situato alla frontiera con il Sud Sudan e l’Uganda, il quale ospita 189mila profughi. In tutto, parliamo di 533mila esseri umani che il Kenya vuole espellere “al più presto” per motivi di sicurezza. Per Nairobi, i campi profughi sarebbero infestati da combattenti del gruppo terroristico somalo di Al Shabaab. Non è la prima volta che il Kenya minaccia la chiusura dei due campi di rifugiati. Era accaduto lo scorso in seguito all’attacco terroristico contro l’Università di Garissa che si era concluso con un bilancio di 147 studenti uccisi.

E in un articolo pubblicato il 9 maggio scorso, un alto funzionario del ministero degli Interni keniota, Karanja Kibicho, si è dichiarato convinto che il massacro del Westgate Mall nel 2013 era stato “pianificato e coordinato dal campo di Dadaab”. Ma le agenzie ONU e le ONG non sono per nulla convinte dalle accuse mosse dal governo keniota. Nel suo ultimo numero, The Economist sostiene che “i soldi sono la ragione principale di questa decisione improvvisa”. Lo dimostrerebbe l’articolo di Kibicho in cui l’altro funzionario keniota lamenta l’esclusione del suo paese dai negoziati con l’UE sulle migrazioni e che il Kenya ha il diritto di chiedere più soldi all’Occidente.

Sei miliardi di euro in totale quindi, in appena tre anni, il che fa una media di due miliardi all’anno per un solo paese (la Turchia, appunto) contro una media annua pari a 15,6 milioni di euro per ognuno dei 23 paesi africani.

Insomma, il deal UE-Turchia rischia di alimentare tra i partner africani la volontà di ricattare l’Europa per ottenere più fondi in cambio del loro impegno a frenare i flussi migratori diretti verso l’UE, e cioè l’Italia. Cosa che il Premier Renzi vuole assolutamente scongiurare. Ecco perché il Migration compact potrebbe diventare uno strumento opportuno per l’UE per soddisfare le richieste africane, a patto però che rimangono ragionevoli.

Ma le sfide dell’Africa non finiscono qui. Dal rischio di un ritorno del debito alla fragilizzazione di alcuni paesi come il Mozambico che consideravamo stabili, passando per l’espansione a macchia d’olio delle rivolte giovanili che si oppongono ai regimi autoritari, il continente africano rimane sì una regione in piena crescita economica, ma oggi è resa fragile da disparità sociali e casi di violazione dei diritti umani in aumento. L’Italia può giocare la sua parte per ridurre queste disparità, favorire il dialogo e la pace, offrendo nuove opportunità sia agli africani che al nostro sistema paese.

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