Welfare

Un ragazzino in ogni classe fa la “badante” a un parente

In Italia 169mila ragazzi tra i 15 e i 24 anni si prendono regolarmente cura di adulti o anziani malati, disabili, fragili. Ma una ricerca ha scoperto che in una scuola di Carpi addirittura il 22% degli studenti ha un carico "molto alto" di cure prestate. Sono i giovani caregiver, uno spaccato invisibile delle nostre famiglie e del nostro welfare

di Sara De Carli

In Italia 169mila ragazzi tra i 15 e i 24 anni (pari al 2,8% della popolazione di questa fascia d’età) si prendono regolarmente cura di adulti o anziani fragili. Si tratta di figli, fratelli, nipoti di persone con disabilità fisiche o mentali, da malattie terminali o croniche o da dipendenze. Secondo uno studio britannico ce n’è almeno uno per classe e l’unica indagine esistente in Italia, realizzata pochi mesi fa in un istituto professionale di Carpi, ha rilevato che ben il 21,9% degli studenti presta cure a un familiare adulto con un livello di intensità “molto alto”. Sono i giovani caregivers, una fetta ancora più invisibile di quei 3 milioni e 300mila italiani che assistono regolarmente familiari adulti bisognosi di cure – malati, disabili o anziani – ragazzi che esistono anche se si guardano bene dal raccontare la loro quotidianità, per riservatezza, imbarazzo, vergogna ma anche perché la letteratura internazionale racconta che spesso loro sono più di altri vittime del bullismo.

I caregiver familiari iniziano a trovare attenzione, dopo tanto silenzio e invisibilità: domani a Montecitorio un convegno internazionale organizzato dalla cooperativa Anziani e non solo farà il punto sulla realtà e i bisogni dei caregivers familari in Italia e in Europa e in quella sede verrà illustrata la proposta di legge quadro per il riconoscimento e la valorizzazione di questa figura, presentata alla Camera da Edoardo Patriarca (Pd) e al Senato da Ignazio Angioni (Pd), proposta che dedica un’attenzione particolare anche ai giovani.

Ma torniamo a quei ragazzi, un numero sorprendete e certamente sottostimato, perché esistono anche bambini più piccoli che nel silenzio delle loro case portano quotidianamente il peso di una responsabilità da adulti, più tutti quelli che assistono fratelli con disabilità. «La nostra attenzione ai giovani caregivers nasce dall’esperienza», spiega Licia Boccaletti, project manager della cooperativa Anziani e non solo, che dal 2004 si occupa di caregiver familiari e che dal 2011 realizza annualmente i Caregiver day.

Entrando nelle famiglie, conoscendole, scoprono che in molte «c’erano ragazzini o giovani adulti con un ruolo di cura. Si tratta spesso di nuclei monogenitoriali, quindi non ci sono alternative, il ragazzo deve prendersi cura di un genitore con una malattia cronica o psichiatrica, oppure famiglie dove c’è un componente disabile – magari il fratello – e in cui i genitori non riescono a coprire completamente il fabbisogno assistenziale. Spesso accade che per motivi economici non ci si può permettere un aiuto a pagamento, così è l’altro figlio che supporta i genitori: questa fra le due è ovviamente la situazione più semplice perché il carico assistenziale è ripartito, le situazioni più difficili sono quelle in cui c’è solo il ragazzo con un genitore», continua.

Se la famiglia è di origine straniera, le difficoltà dei caregiver si accentuano ulteriormente: «fra gli stranieri c’è il doppio della possibilità di avere giovani caregiver, perché diversamente da ciò che si crede questi spesso sono nuclei familiari molto piccoli, senza parenti e reti sociali, che fanno fatica a trovare supporto fra i connazionali. Ne abbiamo intervistati alcuni, emerge soprattutto il fatto che ai giovani stranieri il loro ruolo di caregiver sembra essere più normale, non gli appare così strano» (qui il sito del progetto con i caregiver familiari di origine straniera realizzato dalla cooperativa).

Studi e numeri in Italia non esistono, se non quel 169mila indicato dall’Istat (in allegato). È proprio Anziani e non solo ad aver scritto un primo report – "I giovani con responsabilità di cura in Italia", nell’ambito del progetto europeo Care2Work, in allegato – e pensato un progetto pilota, primo in Italia, dedicato a questi ragazzi, in atto all’Istituto Nazareno di Carpi. Nei mesi scorsi 128 allievi del CFP hanno risposto a un questionario per “misurare” il livello di impegno di cura domestica richiesto a loro: 32 hanno un impegno “moderato”, 18 un livello “elevato” e 28 – ben il 21,9% – un livello “molto alto” di cure prestate. «Per misurare il carico di cura è stata utilizzata una scala internazionale che chiede rispetto ad una serie di attività di dire quanto frequentemente sono state svolte nel mese precedente e in base a queste risposte dà un punteggio», spiega Boccaletti. Alcuni esempi? Assistere un familiare nell’assumere farmaci, accompagnare un familiare in bagno, occuparsi dell’igiene di una persona…. «Dopo il questionario, stiamo lavorando con gli insegnanti e fra aprile e maggio entreremo in classe, parlando a tutti, con la speranza che poi i ragazzi che vivono questa situazione si “palesino” chiedendo un aiuto individuale».

L’impatto che il ruolo di caregiver ha su un ragazzo è molto elevato, molto più di quello che può essere su un adulto. È facile immaginare come la stanchezza possa avere conseguenze sul rendimento scolastico, che poi ha conseguenze sul futuro, in una spirale negativa: magari il giovane caregiver sceglierà per le superiori una scuola che richieda un impegno minore, oppure dopo le superiori sceglierà di andare a lavorare e rinuncerà all’università, oppure sceglierà una facoltà che non lo obblighi ad allontanarsi da casa… In più c’è il piano emotivo, lo stress, la difficoltà nelle relazioni: il tempo dedicato alla cura viene sottratto a quello dedicato allo svago e al tempo libero, per cui i giovani caregiver sono spesso costretti a rinunciare alle attività a cui si dedicano normalmente i coetanei, come gite, uscite, attività sportive…

«Sono situazioni complesse, che però non hanno solo aspetti negativi», sottolinea Boccaletti: per questo «è importante riconoscere e valorizzare le competenze che trasversali che questi ragazzi sviluppano, per sostenerli nel percorso di inserimento lavorativo. Stiamo sperimentando laboratori diversi Paesi per validare le competenze dei giovani e anche qui in Emilia Romagna, dove da due anni esiste la prima ed al momento unica legge regionale sui caregiver familiari, è previsto il riconoscimento dell’esperienza di cura come credito formativo, un po’ come già accade per ilo volontariato o per le attività sportive. L’assessore regionale si è impegnato a rendere applicabile questo riconoscimento anche nei contesti universitari».

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