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Ecco come il terrore cambia una città

Strade bloccate, metrò e bus fermi, supermarket chiusi. E quelle incessanti sirene delle ambulanze e delle camionette delle forze dell'ordine. Ecco come ho visto reagire la capitale d'Europa.

di Martino Pillitteri

Bruxelles, lunedì 21, ore 19. Guardo la mia agenda per decidere quali eventi seguire l’indomani e mi accorgo di una sovrapposizione: alle 10.10 Gilles de Kerchove, il coordinatore anti terrorismo della Ue, parlerà di radicalismo e jihadismo presso il think tank European Policy Centre. Alle 10.30, il Grand Mufti d’Egitto Abdel-Karim Allam interverrà alla Commissione affari esteri del parlamento europeo. Vorrei partecipare ad entrambi gli eventi per intervistarli.

Devo sceglierne uno. Sono propenso ad andare da Gilles de Kerchove per via dell’arresto di Salah Abdeslam. Poi penso che le occasioni per incontare de Kerchove non mancheranno, mentre non mi capiterà facilmente di trovarmi di nuovo nella stessa sala con il Grand Mufti d’Egitto.

Decido di rinviare la decisione al giorno dopo. Massì, mi dico: mi alzo, faccio colazione e poi decido. Magari quando sono già in metropolitana.

Alla fine salteranno sia de Kerchove sia il Grand Mufti. A cambiare la mia agenda e quella di tante altre persone saranno gli attentati all’aeroporto e alla stazione della metropolitana di Maelbeek.

Apprendo dell’attentato all’aeroporto mentre mi trovo in metropolitana. Sono le 8.45. Quando cominci a ricevere un numero sempre crescente di messaggi whatsapp da amici e parenti che vogliono accertarsi delle tue condizioni capisci che è successo qualcosa di tragico.

Eppure mi guardo intorno e non vedo nulla di anormale: la solita atmosfera, il classico ordine e il silenzio di un vagone del metrò occupato da belgi composti e precisini. Tutto fa pensare che oggi si consumerà la classica giornata bruxellese, molto ingessata e istituzionale. Una giornata senza sorprese e senza suspense. Questa città, soprattutto nella zona delle istituzioni europee, mi ricorda spesso il film Ricomincio da Capo: ogni giorno si ripetono le stesse cose.

Faccio mente locale sul tragitto da casa mia all’entrata del metrò, ma non ricordo nulla di diverso dal consueto: solita polizia nei posti chiave, nessuno che sembrasse andare di corsa.

E invece, uscito dal metrò, vedo la città cambiare fisionomia, sempre più in fretta. Da un minuto all’altro chiudono le banche e i supermercati; i bus non passano più; la gente rientra in metropolitana per tornare a casa; i soldati arrivano a presidiare le strade; chi prova a telefonare non riesce a prendere la linea e maledice il cellulare. Ma soprattutto c'è un'escalation di macchine della polizia e di ambulanze: il suono delle loro sirene diventa incessante.

Il palazzo dove si trova la redazione di Vita International è semivuoto. Al nostro piano ci sarà al massimo il 20% dei normali occupanti. In strada le persone si contano sulle dita della mano. Quello delle istituzioni europee è praticamente un quartiere fantasma. Mentre passa il tempo, noto che si intensificano le misure di sicurezza. Una delle strade principali, Rue Belliard (foto qui sotto) è completamente chiusa.

La strada qui sotto è invece Rue de la Loi. Qui, sottoterra, passano le linee del metrò 1 e 5 , quelle della fermata di Maelbeek. Cerco di avvicinarmi alla zona colpita dalla bomba ma la polizia non lascia passare nessuno.

Una camionetta dalla polizia è sistemata all’inizio della via del nostro ufficio. Per passare il posto di blocco ho dovuto dimostrare che lavoro lì. Se non avessi avuto con me il biglietto da visita, non mi avrebbero fatto passare.

Pochi minuti prima, un marcantonio con l’accento fiammingo e la divisa militare mi aveva letteralmente sequestrato il cellulare, per cancellare una foto appena scattata: avevo fotografato la fermata della metropolitana di Troon.

Cover photo: Getty/ KENZO TRIBOUILLARD

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