Cultura
Un tentativo di dialogo: Fachinelli e Pasolini nel 1974
«Dall’età dell’innocenza siamo passati all’età della corruzione», affermava Pier Paolo Pasolini in un'intervista del 1973. Una dicotomia efficace, ma semplicistica. Così almeno apparve al grande psicoanalista Elvio Fachinelli - di cui in questi giorni arriva in libreria per i tipi di DeriveApprodi la raccolta di scritti "Al cuore delle cose". Poteva essere l'inizio di un dialogo, ma l'isolamento pasoliniano ebbe la meglio
di Dario Borso
L’11 gennaio 1974 lo psicanalista Elvio Fachinelli scrisse una lettera a Pier Paolo Pasolini dopo aver letto sull’«Espresso» il resoconto di una polemica con Edoardo Sanguineti, che iniziava con brani del pasoliniano Sfida ai dirigenti della Rai apparso sul «Corriere della sera» del 9 dicembre precedente: «Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il Fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta… Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata… Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo Potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana… Fino a pochi anni fa, i sottoproletari rispettavano la cultura, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti in possesso però del mistero della realtà, ora cominciano a vergognarsi della loro ignoranza, abiurano dal proprio modello culturale».
Il giornalista citava poi altri bani della replica sanguinetiana apparsa su «Paese sera» del 27 dicembre: «Sono proprio dei cafoni, i sottoproletari dei nostri tempi! Perduta la splendida “rozzezza” di un tempo, non hanno più soggezione per il latinorum del signor curato… Felici gli analfabeti d’una volta che erano analfabeti veri, interi, tutti come si deve, tutti con il “mistero”, zitti, ordinati e contenti, con l’Eiar e il Dopolavoro… Marx però era stato assai poco sensibile alla “irripetibile bellezza contadina”, la quale aveva anzi sbugiardato come “sfruttamento mascherato di illusioni religiose e politiche”».
Infine, riportava un’esternazione di Pasolini: «Il fascismo non disponeva altro che della Chiesa, della retorica e delle squadre d’azione, per piegare al suo volere il popolo italiano… Ma questi qui hanno la televisione, che raggiunge tutti. Cosa ne sa Sanguineti, vissuto tra il salotto e la scuola, della vita popolare? Lo sapevamo gente come me, Penna, Comisso, esplosi fuori dal bozzolo borghese, esclusi, reietti, costretti a non vivere se non confusi dentro il popolo, nascosti dentro la sua oscura, anonima protezione. Sì, la vita popolare d’allora era più felice, perché così appartata che neppure il fascismo riusciva del tutto a contaminarla».
Fachinelli dal canto suo esordisce: «Non leggendo “Paese Sera”, non conosco il pezzo di Sanguineti, ma dalla citazione mi pare un modesto esercizio ortodosso marxista di un professore tranquillamente incattedrato e tranquillamente picì, di cui forse potranno piacere la malignità e la bravura letteraria, ma che rimane del tutto estraneo alle ragioni che motivano la passione e l’urgenza dei suoi interventi di questo periodo. Lei ha le antenne per accorgersi dei mutamenti in corso, Sanguineti no».
E aggiunge: «E’ un po’ quello che è successo nel ’68: la rabbia che gli studenti provocavano in lei era chiarissima partecipazione, mentre le fredde e molto ortodosse osservazioni di Sanguineti erano già allora coerenti con il suo attuale presente» (il riferimento, oltre all’arcinota Il PCI agli studenti! dove Pasolini nel maggio 1968 difendeva i poliziotti, è alla coeva Rivolta e rivoluzione, dove Sanguineti su «Quindici» definiva gli studenti «anime belle» contrapponendo loro la linea Marx-Lenin-Mao).
Qui Fachinelli cambia registro, per riferirsi a un’intervista sul «Giorno» del 29 dicembre 1973 (non ripresa nei Meridiani Mondadori), dove Pasolini affermava: «Dall’età dell’innocenza siamo passati all’età della corruzione […]. E’ stata la civiltà dei consumi, un fatto senza precedenti nella storia dell’uomo. Tutto è cominciato verso la metà degli anni Sessanta, la contestazione del ’68 oggi appare come l’ultimo sprazzo di vitalità, un movimento collettivo millenaristico. Si è chiusa l’epoca di quel mondo antico e barbarico che amavo […] il centro ha raggiunto la periferia e si è insediato in essa, nella sua anima, con la televisione e la moda. La periferia è andata verso il centro grazie alle strade e alla motorizzazione. […] sarei contento, disposto a rinunciare a qualunque cosa per il reimbarbarimento del mondo: un mondo in cui valga la pena di lottare. Oggi per chi lotti se il popolo non esiste più?».
Fachinelli nella lettera commenta: «mi chiedo se l’isolamento in cui si viene a trovare non si leghi a quella dicotomia che lei stabilisce tra “innocenza” e “corruzione”, con nostalgia della prima e rifiuto della seconda. Non le sembra che, parlando di innocenza, Lei metta in atto una idealizzazione, e che questa le sia possibile solo staccandosi, considerandosi staccato da quella “barbarie” e dalle sue vicissitudini? Ora, il movimento che ha portato il ragazzo di borgata al centro della città è lo stesso che ha portato lei all’uso del cinema, della tv, della provocazione culturale… Si potrebbe quindi vedere, nel suo rifiuto della “corruzione”, come un implicito giudizio negativo, in nome di quelle esigenze profonde riposte nella “innocenza”, di tutta una serie di attività, sue e di altri, connesse alla “civiltà dei consumi”. Scoprire in sé, per così dire, una zona di futilità distruttiva».
Una specie di affabile «Conosci e stesso», che ventilava però una messa in mora delle dicotomie pasoliniane – con tanto di bibliografia, se la lettera conclude annunciando l’invio del Bambino dalle uova d’oro, raccolta in uscita per Feltrinelli: «troverà dentro questo libro, e di questo sono sicuro, in particolare nelle note, qualcosa della sua insoddisfazione e delle sue tragiche domande di questo periodo».
Le note, risalenti all’estate 1973, erano sei per una dozzina di pagine in tutto. La prima e più lunga segnalava nel presente «uno smantellamento del super-io civile, con emersione in primo piano di pulsioni sessuali e aggressive precedentemente rimosse o sublimate. Indice di questa situazione sarebbero, da un lato, la permissività sessuale, intesa come esplicazione di attività sessuali non segnate, o meno segnate, da senso di colpa, e, dall’altro, una riappropriazione di aggressività da parte dei singoli o dei gruppi, fuori del “monopolio” tradizionale finora esercitato dagli Stati».
Rispetto a ciò, Fachinelli ipotizza: «Se la psicanalisi ufficiale avesse tenuto presente questa possibilità di “astuzia” da parte di Eros, avrebbe evitato di ricadere nella riprovazione “scientifica” dei nuovi, informi comportamenti emergenti nei singoli e nei gruppi, che le è stata propria, e che l’ha di fatto accomunata alla saggistica del rimpianto, di qualsivoglia intonazione». Ma al contempo avverte che «la pulsione di morte esprime in Freud qualcosa di più profondo e radicale, un pericolo più grande che egli ha chiamato: tendenza a dissolvere le unità organiche, vitali, create da Eros e a ridurle allo stato primevo, inorganico».
Che il rinvio fachinelliano alle note contenesse un velato de te fabula narratur? Chissà… Certo è che Pasolini, le avesse lette o meno, pur mantenendo nei mesi successivi un rapporto con lo psicanalista, mai vi farà riferimento.
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