Non profit
Una comunicazione sociale da manuale
Dopo decenni di marginalità, a tutt’oggi purtroppo ancora vigente nel mondo accademico, finalmente la comunicazione sociale conquista una prima legittimazione scientifica grazie al libro “La Comunicazione sociale. Manuale per le organizzazioni non profit” di Gaia Peruzzi e Andrea Volterrani
Dopo decenni di marginalità, a tutt’oggi purtroppo ancora vigente nel mondo accademico, finalmente la comunicazione sociale conquista una prima legittimazione scientifica con il manuale per le organizzazioni non profit pubblicato da Laterza, che ha raccolto al volo il progetto editoriale di Gaia Peruzzi e Andrea Volterrani, andando ben oltre le più ottimistiche aspettative degli autori stessi. Non che mancassero testi teorici e tecnici sull’argomento, ma si trattava prevalentemente di una produzione frammentaria e spesso occasionata dalla committenza delle stesse organizzazioni del Terzo Settore. Questa volta è un’altra storia. Si tratta di un’opera organica, nata dalla collaborazione fra due ricercatori che da vent’anni si occupano di comunicazione sociale, sia in ambito universitario che direttamente nel mondo del Terzo Settore. Non va considerato un punto di arrivo, ma certamente, un buon punto di partenza, in attesa che la disciplina specifica ottenga quanto prima la consacrazione accademica, che senza ombra di dubbio, ormai meriterebbe.
Inserito nella collana dei Manuali Laterza, La Comunicazione sociale, pensato e scritto per gli studenti e per i professionisti del Non Profit, dopo una parte più teorica dedicata al profilo socio-culturale del non profit e alla definizione della comunicazione sociale, prende in esame gli strumenti del mestiere, da quelli tradizionali come l’ufficio stampa a quelli nuovi come i media digitali e lo storytelling. Di grande interesse il capitolo sulla valutazione di impatto della comunicazione, un tema cruciale, con il quale hanno ancor oggi difficoltà a confrontarsi anche il mondo del profit e dell’impresa. Il volume si chiude con una riflessione (Visioni) sul futuro della comunicazione sociale, laddove, fra l’altro, si auspica che l’approccio narrativo riesca colonizzare il mainstream, rispondendo ad una tensione etica intrinseca, capace di spingere tutti i cittadini ad oltrepassare la condizione di “spettatori passivi del dolore altrui”. Abbiamo posto alcune domande a Gaia Peruzzi, ricercatrice del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza Università di Roma, dove insegna Strategie di comunicazione per pubbliche amministrazioni e non profit.
Da dove deriva la scelta, piuttosto coraggiosa, di incentrare uno dei capitoli principali del libro sull’Ufficio Stampa, con una scelta lessicale che oggi, fra l’altro, appare un po’ retrò?
Al di là delle questioni terminologiche, l’Ufficio Stampa, per me è il cuore, il nodo strategico dell’attività di comunicazione di un organizzazione. La dizione Ufficio Comunicazione pone maggiormente l’accento su tutti quei processi esterni ed interni che contribuiscono alla costruzione dell’identità e della reputazione della struttura. In ogni caso, quale che sia il nome che si sceglie, l’ Ufficio (Stampa-Comunicazione) rimane un ganglio nevralgico dell’organizzazione.
Nel mutato contesto odierno, in cui i media tradizionali sono ridimensionati da quelli digitali e ancor più radicalmente dai social network, qual è il ruolo dell’Ufficio Stampa?
Occorre, senza sopravvalutare i new media, avere la consapevolezza della loro grande potenzialità ed utilizzarli intelligentemente ad integrazione della comunicazione tradizionale, soprattutto per coinvolgere i giovani e promuovere la partecipazione. Sullo storytelling che pare essere diventato anche per il non profit una delle nuove frontiere della comunicazione, sentiamo l’opinione dell’altro autore, Andrea Volterrani, ricercatore all’Università di Roma Tor Vergata, dove insegna Teoria e tecnica delle comunicazioni di massa.
Forzando troppo la pratica narrativa non c’è il rischio di cadere in pericolose semplificazioni , cadendo in logori stereotipi?
Escludendo la banale retorica buonista, il Terzo Settore è assai ricco di storie esemplari capaci di farsi strada nell’immaginario collettivo, favorendo, pertanto, il cambiamento sociale. Quello che conta è il modo di raccontare che deve saper usare linguaggi e strumenti appropriati.
Ci sono esempi di successo di utilizzo dello storytelling nel Terzo Settore?
Uno su tutti è quello della Fondazione con il Sud che, fra l’altro, ha promosso il “video contest” Una storia con il Sud, facendo incontrare chi conosce bene le storie (organizzazioni non profit) con chi le sa raccontare bene (videomaker) . I risultati sono stati straordinari: oltre un centinaio di video per 200 storie di partecipazione, impegno civile, e riscatto sociale proposte da organizzazioni non profit del Sud.
Un’ultima domanda, infine, riguarda la cultura della valutazione E’ pronto il Non Profit italiano su questo tema, in generale poco popolare nel nostro Paese?
Il capitolo sulla valutazione dell’impatto sociale della comunicazione intende offrire, spazzando via equivoci e pregiudizi, uno stimolo culturale su un aspetto centrale, visto con sospetto nel nostro paese. Sulla comunicazione, in particolare, non pochi ancor oggi pensano che, trattandosi di una attività immateriale, sia pressoché impossibile misurarne l’efficacia, mentre diversi esperti ritengono che la valutazione di impatto sociale non solo sia scientificamente possibile, ma contribuisca in modo determinante a migliorare le strategie di comunicazione.
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