Welfare

Evviva, oggi mia figlia ha preso una nota

Tante belle parole, ma l'inclusione delle persone con disabilità nella realtà spesso ancora non esiste. È un viaggio senza valigia, in cui tutta la famiglia deve "riprogettarsi". Lorenza, Andrea e Chiara lo hanno fatto. La loro è una delle storie da cui è nata la mostra "Maternage" dell'associazione L'Abilità, che dopo Milano toccherà Trento e Novara

di Sara De Carli

Nella loro valigia, Lorenza e Andrea hanno messo un cd con musiche celebri per bambini. Perché la musica è una loro passione e perché la musica, per la loro Chiara, è sempre stata occasione di stimolo e di partecipazione: «Le abbiamo preso un bongo piccolo per suonare insieme al papà, vogliamo condividere con lei le nostre passioni perché un giorno possa averne di sue», racconta mamma Lorenza. Chiara sta per compiere 9 anni e frequenta la seconda elementare: «Stiamo ancora lavorando sul riconoscimento dei numeri, ma risponde agli stimoli in modo eccellente. La mia speranza? Oggi Chiara si fa capire bene con sguardi, gesti, vocalizzi… mi piacerebbe attraverso le immagini aprire il mondo dei “perché” delle cose».

La valigia di Chiara è una di quelle da cui è nata la mostra “Maternage. Tracce di un viaggio”, promossa dall’Associazione L’Abilità e terminata giusto ieri al Museo Diocesano di Milano. La valigia è il simbolo di un progetto di vita da reinventare nel momento in cui nasce un figlio con disabilità e inizia un viaggio imprevisto, per cui non si è per nulla attrezzati: un viaggio che parte “senza valigia”, come dice il nome del progetto con cui L’Abilità dal settembre 2013 segue a Milano bambini da 0 a 6 anni e le loro famiglie, fratelli inclusi. L’istallazione girerà per l’Italia (Trento e Novara saranno probabilmente le prossime tappe), ma l’obiettivo dichiarato della mostra travalica la mostra stessa ed è per questo che ne parliamo oggi: «Serve una nuova cultura della disabilità: abbiamo le leggi che parlano di inclusione ma la società è sempre più centrata sull’immagine, sulla velocità, sulla performance e quindi nei fatti fatica a fare posto alla disabilità», riflette Carlo Riva, direttore di L’Abilità, che negli spazi di via Pastrengo accoglie 50 bambini ogni settimana più da pochissimo i dieci bambini del nuovo Centro Autismo. «La disabilità invece fa parte della condizione umana. Per questo abbiamo pensato al linguaggio dell’arte, volevamo arrivare al pubblico attraverso l’arte e per questo abbiamo voluto un percorso che non parlasse solo della sofferenza delle famiglie che vivono l’esperienza della disabilità ma accomunasse tutti in una riflessione sulla sofferenza e sulla possibilità di riprogettarsi».

La casa di Lorenza, Andrea e Chiara racconta bene di questo riprogettarsi: è un luogo su misura per Chiara, ma lontano mille miglia dall’idea di una sanitarizzazione. «La casa è piena di cose fatte da Chiara, è un modo per darle fiducia e dirle che siamo orgogliosi di lei, che vive spesso dei momenti di frustrazione», racconta mamma Lorenza. «Il mio pensiero fisso è stato fin da subito quello di non chiuderci, di darle tutti gli stimoli degli altri bambini. Andiamo a sciare con amici, andiamo in barca a vela, i nostri amici vengono a casa e i loro figli giocano insieme a Chiara, a scuola siamo stati fortunatissimi… Certo, quando cammini per strada a volte negli sguardi degli estranei che incontri capisci che l’inclusione non esiste ancora».

Raccontare e far conoscere come si vive quando in famiglia entra la disabilità è un primo passo perché la disabilità smetta di fare paura: «l’inclusione non è un obiettivo soltanto per i bambini ma anche per le loro famiglie, perché spesso si sentono e sono sole. Noi cerchiamo di dare strumenti per riprogettarsi e per sentirsi meno sole, anche se la vicinanza con altre famiglie con un figlio disabile è solo un passaggio per arrivare alla società intera», racconta Riva.

In valigia cosa mettere allora? Così risponde Riva: «L’ascolto per raccogliere la sofferenza e per far sentire di non essere soli. Un aiuto per far capire che può costruire un nuovo progetto di vita, che il futuro è ancora possibile. Un sostegno reale, concreto, come il sostegno psicologico o come i sabati di sollievo. Il gioco come spazio in cui i genitori possono ritrovare una relazione di benessere con i figli, restituendo la loro capacità genitoriale, dicendo loro che non è affatto vero che nel loro rapporto con i figlio dovranno sempre dipendere da un operatore». E così Lorenza: «La differenza la fa l’aver vicino tante persone, a cominciare dai nonni e dagli amici, cosa che non è per nulla scontata. Il sorriso di Chiara, che è così dolce che non puoi abbatterti. E l’avere qualcuno di esterno che crede davvero nelle potenzialità di Chiara. L’altro giorno la maestra ha messo una nota sul diario a Chiara: io quando l’ho letta sono stata felicissima. Se le metti una nota vuol dire che ci credi davvero che Chiara può fare di più».

Foto Alessandro Grassani per L'Abilità

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