Welfare

Povertà, l’Alleanza: «Piano del governo deludente»

Le organizzazioni dell'Alleanza contro le povertà contestano il disegno di legge delega presentato dal ministro Poletti: «Un passo indietro rispetto allo spirito della legge di Stabilità, servono più fondi».

di Redazione

L’Alleanza contro la povertà boccia il Piano del governo approvato dal consiglio dei ministri di settimana scorsa che prevede una sorta di reddito minimo da 320 euro al mese per un milione di persone. «È un cambiamento radicale perché nel nostro Paese non c’è mai stato un istituto unico nazionale a carattere universale per sostenere le persone in condizione di povertà. Vogliamo dare a tutti la possibilità di vivere dignitosamente. È una riforma che vale almeno quanto il Jobs Act», ha dichiarato il ministro Giuliano Poletti sulla Repubblica di questa mattina. Assicurando che «i trattamenti in essere non sono in discussione, non saranno toccati. Faremo un’analisi e puntiamo a una riorganizzazione anche delle prestazioni non per fare cassa, ma per equità».

La delega licenziata dal Governo però non soddisfa le tante organizzazioni sociali che si riconoscono nell’Alleanza, che infatti oggi richiede «una profonda revisione della delega» che va «in controtendenza rispetto alle scelte positive contenute nella legge di Stabilità», che su questo versante per il 2016 ha previsto uno stanziamento di 600 milioni e un miliardo a partire del 2017 che arrivano a 1,5 con il cumulo di altre risorse già stanziate.

Le risorse stanziate per quest’anno sono indirizzate al rafforzamento di prestazioni già previste (Sia e Asdi) mentre le azioni da compiere partire dal 2017 – riguardanti il disegno degli interventi, gli utenti e i possibili finanziamenti ulteriori – sono rimandate ad una legge delega, il cui disegno di legge è stato appunto approvato il 28 gennaio.

Su quel documento l'Alleanza in concreto nutre i seguenti dubbi:

1. non è previsto il necessario incremento di finanziamenti. La delega esclude ulteriori stanziamenti per la lotta alla povertà, tranne quelli provenienti dal riordino complessivo delle prestazioni assistenziali. Il punto di fondo – seppure manchino stime precise – è chiaro: la delega non contiene alcuna ipotesi di finanziamento che renda possibile (e neppure avvicinabile) prima del prossimo decennio il reperimento dei 7 miliardi indispensabili per il Reis. L’Alleanza richiede, invece, di prevedere un percorso di graduale incremento delle risorse che permetta di introdurre il Reis nella sua interezza entro il 2019.

2. Occorre separare gli atti sulla lotta alla povertà da quelli sulla revisione dell’assistenza. Il riordino delle prestazioni assistenziali, pur necessario, deve essere vincolato ad una vera riforma del welfare, con l’obiettivo di ampliare e rendere più efficace il sistema di protezione sociale. Tuttavia, poiché il complesso della spesa assistenziale coinvolge ben più persone e interessi rispetto alla povertà, se le due problematiche non venissero scisse la gran parte del dibattito sulla delega non riguarderebbe i poveri bensì la revisione della spesa.

3. l’inclusione sociale rischia di rimanere solo un obiettivo dichiarato. La delega enfatizza la natura di inclusione attiva, e non assistenziale, delle nuove prestazioni, aspetto fortemente condiviso dall’Alleanza. Si tratta di elaborare – nei territori – progetti personalizzati d’inserimento sociale e di mettere in campo gli interventi necessari alla loro attuazione. Le politiche sociali italiane, d’altra parte, sono disseminate di norme con finalità apprezzabili ma non accompagnate dagli strumenti per realizzarle. Il punto decisivo, dunque, è fornire ai soggetti del welfare locale, a partire dai Comuni, gli strumenti per poter concretamente lavorare per l’inclusione degli utenti. L’attuale testo della delega suscita preoccupazione in proposito. Per i servizi territoriali chiamati in causa si prevedono solo finanziamenti europei temporanei, che scompariranno all’inizio del prossimo decennio (la cifra di1,5 miliardi strutturali è destinata esclusivamente ai contributi economici); peraltro le risorse disponibili per queste prime annualità (intorno a 150 milioni annui) sono senza dubbio inadeguate. Il carattere di provvisorietà dello stanziamento per i percorsi d’inclusione sociale fa cadere la possibilità che lo Stato definisca qualsiasi regola certa rispetto alla loro effettiva fruizione da parte dei cittadini, assente nella delega. Analogamente, non si prevedono le necessarie modalità per rafforzare le competenze degli operatori impegnati nei territori, quali iniziative di accompagnamento e formazione, e neppure le attività di monitoraggio utili ad imparare dall’esperienza. Complessivamente, dunque, si chiede alla realtà del welfare locale di costruire strategie per l’inclusione sociale dei propri cittadini poveri senza dotarle di strumenti adeguati allo scopo.

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