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Siria, al via i negoziati Onu: ecco cosa c’è in gioco
Dall’inizio del conflitto a oggi le morti civili registrate sono 92.238. I dubbi su una possibile riuscita dei negoziati sono molteplici, a partire dalla volontà politica delle parti in gioco di trovare un’effettiva via d’uscita dalla crisi. I nodi da sciogliere e gli interessi in campo. Un focus per capire
Ieri sono iniziati i negoziati a Ginevra per la Siria: l’ONU, dopo diversi tentennamenti, ha deciso di forzare la mano e spedire gli inviti ufficiali ai partecipanti che si sono seduti al tavolo negoziale.
Le trattative saranno indirette e navette diplomatiche faranno la spola tra diverse stanze dove saranno divise le parti negoziali. In particolare, l’High NegotiationCommittee (HNC) dell’opposizione, guidata da Mahmoud Alloush, capo del gruppo armato Jaysh Al Islam, non incontrerà BasharalJafaari, ambasciatore della Siria presso l’ONU, scelto dal governo di Assad come capo-negoziatore a Ginevra. Un’immagine che già di per sé chiarisce la base sui cui si fonda la roadmap per la pace in Siria, stilata lo scorso 18 dicembre con la risoluzione 2554 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che impone ai negoziati l’obiettivo di trovare un accordo su un governo di transizione che in 18 mesi porti la Siria a indire nuove elezionie stilare una nuova Costituzione.
“Mahmoud Alloush ha riscosso successo tra gli ascoltatori che chiamavano da tutte le provincie della Siria controllate dall’opposizione” dice togliendosi le cuffie AbdulkaderMousa, conduttore del programma radiofonico “Con la gente” trasmesso dalla radio siriana “Voice of Damascus”, di base a Gaziantep in Turchia ma che trasmette e soprattutto si rivolge agli ascoltatori all’interno della Siria. Tra tutte le telefonate ricevute, racconta Mousa, il fatto che l’Arabia Saudita sia il primo sponsor di Mahmoud Alloush e dell’HNC non sembra essere un problema rilevante. “Quello su cui invece tutti concordano è che questi negoziati nonporteranno ad alcuna soluzione politica”.
I dubbi su una possibile riuscita dei negoziati sono molteplici, a partire dalla volontà politica delle parti in gioco di trovare un’effettiva via d’uscita dalla crisi siriana. In primis, a causa dei contrastanti interessi in gioco delle potenze che siederanno al tavolo negoziale, le trattative di questo primo round del 2016 lasciano irrisolta la questione cruciale del conflitto: Basharal Assad rimarrà o dovrà lasciare il potere?La risposta implicherebbe, infatti, la legittimazione di un nuovo assetto regionale che da un lato, se Assad dovesse restare, favorirebbe la coalizione “sciita” Iran-Hezbollah supportata da Mosca; dall’altro, se al contrario Assad venisse deposto, l’Arabia Saudita aumenterebbe notevolmente la sua influenza nel paese con un importante supporto della Turchia e degli Stati Uniti, che hanno tutto l’interesse di contrastare l’avanzata russa in Medio Oriente.
Sulle ripercussioni interne alla Siria, d’altro canto, la dipartita di Assad potrebbe portare ad un collasso statale nelle aree attualmente controllate dal regime – la costa e la parte occidentale del paese [mappa] – aprendo la strada ad un’opposizione armata non coesa, dove l’esercito siriano libero (FSA), indebolito e senza supporti esterni, giocherebbe un ruolo minore. Al contrario, le principali fazioni islamiste armate sul territorio, tra cui Jayshal Islam, Ahrar al Sham e in particolare, la più potente nell’ovest del paese, Jabat al Nusra (Al Qaeda in Siria), potrebbero prendere il sopravvento, senza contare un’ulteriore e probabile avanzata di ISIS verso occidente. Tutti i gruppi dell’opposizione armata che combattono a occidente, inoltre, hanno già dichiarato che se Assaddovesse restare non deporranno le armi. Il conflitto dunque continuerebbe a protrarsi, con il pericolo che una larga fetta di Jabat al Nusra si unisca a ISIS, come è già avvenuto in alcune parti del paese.
Al di là di bypassare volutamente la “questione Assad”, dunque, e nasconderla momentaneamente sotto il tappeto, i principali ostacoli che finora hanno ritardato l’inizio delle trattative inizialmente previste per il 25 gennaio sono state diversi.
L’High NegotiationCommittee, un organismo di forze dell’opposizione istituitosi in una conferenza tenutasi nella capitale saudita Riyadh lo scorso novembre, fino all’ultimo non ha confermato la sua partecipazione, imponendo come pre-condizione negoziale uno stop ai bombardamenti russi e la fine del blocco imposto alle città siriane sotto assedio. Richieste che lo stesso inviato speciale ONU per la Siria Staffan De Mistura ha confessato all’HNC di non poter soddisfare.
Mosca, che supporta apertamente il governo di Basharal Assad, ha rifiutato fino all’ultimo di riconoscere la lista dei partecipanti dell’opposizione, dichiarando inaccettabile la presenza di organizzazioni “terroriste” in ambito negoziale – Jaysh al Islam e Ahrah al Sham– ed etichettando l’HNC come un comitato che rappresenterebbe esclusivamente gli interessi sauditi. Una rimostranza che la Russia aveva già palesato lo scorso novembre, uccidendo in un raid aereo il capo indiscusso di Jaysh al Islam, ZahranAlloush, scelto alla conferenza di Riyadh come prima opzione per rappresentare l’HNC a Ginevra.
Il Ministro degli Esteri russo SergeiLavrov, ha inoltre protestato per l’esclusione dai negoziati del Partito Curdo dell’Unione Democratica (PYD), la forza sul campo più imponente nell’area curda autonoma del Rojava, nel nord della Siria, e il cui braccio armato (YPG) sta combattendo contro ISIS. La rimostranza russa è rivolta in primo luogo alla Turchia, con cui Mosca ha congelato i rapporti dopo che un suo jet è stato abbattuto dall’esercito turco al confine turco-siriano. Il governo di Ankara è statoin effettiil principale fautore dell’estromissione del PYD, che considera un’organizzazione terrorista per i forti legami che il partito curdo-siriano intrattiene con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), contro cui l’esercito turco ha dichiarato una guerra aperta nel sud-estdel paese nel luglio 2015,con lo scopo di stroncare ogni progetto di autonomia curda all’interno della Turchia. In questo quadro, la recente rottura diplomatica tra Iran e Arabia Saudita, dopo l’esecuzionedello sceicco sciita Nimr al Nimr, non ha fatto altro che aggravare le tensioni tra i due paesi, già in competizione per un’egemonia regionale giocata in guerre per procura: Iraq, Yemen e Siria, Teheraninvia truppe di terra in supporto ad Assad, mentre Riyadh finanzia gruppi islamisti ribelli che combattono il regime.
“Il popolo siriano deciderà il futuro della Siria”: così recita la risoluzione 2254, ma se c’è un aspetto che questi negoziati si dimenticano, e le poste in gioco ad esso correlati, sono proprio i siriani.
“Chi continua a pagare il prezzo sono i civili” dice BassamAl Ahmad, siriano originario di Qamishlie portavoce delViolationDocumentation Center(VDC) , riportando dati che mostrano come da quando i negoziati si sono fatti una possibilità e la Russia è entrata ufficialmente nel conflitto lo scorso settembre 2015,la guerra mieta ancora più vittime.
“Solo negli ultimi 5 mesi sono 2986 morti per attacchi aerei da settembre di cui 94 combattenti: significa 2892 civili”. Dall’inizio del conflitto a oggi le morti civili registrate dal VDC sono 92,238.
“Il governo distrugge sistematicamente le condizioni normali di vita dei civili dentro Siria” dice lo psichiatra dell’organizzazione UOMSS JalalNofal, “e questo provoca un forte senso di vendetta che si basa sull’ uccidere perché siamo uccisi, una reazione che naturalmente è spesso trasmessa ai figli”. Una reazione che, in tutte le fazioni in lotta, porta a considerare i bambini dai 12anni in su come degli uomini pronti per essere arruolati e combattere. “Ad Aleppo suono delle sirene è solo per annunciare la morte, perché non sai se la bomba cadrà sul mercato o ti raggiungerà nel tuo letto”, racconta Mahmoud Abdur Rahman in un suo racconto su Goodmorning Syria, unsito di media, cultura e politica in Siria scritto dall’interno del paese e da giornalisti e attivisti della società civile che la Siria la vivono tutti i giorni. “La gente vede che ogni parte sta armando le diverse fazioni, ma nessuno pensa veramente ad una soluzione politica”. Mahmoud racconta a Vita come le divisioni esterne e interne tra le potenze che alimentano il conflitto abbiano acuito le divisione interne delle persone che abitano la Siria oggi. Aleppo ne è un esempio lampante: la città è dilaniata nelle divisione dei quartieri in mano a diverse brigate di ribelli, ISIS e il governo di Assad. “Anche nell’area dove vivo io, in mano ai ribelli, fino ad un anno fa non si poteva parlare di confessionalismo, era uno dei principali argomenti tabù”. Mahmoud insieme a un gruppo di attivisti della società civileha fondato nel suo quartiere il Centro CulturaleWaraqah, un punto d’ incontro e di discussione dove la comprensione e la tolleranza sono diventati il leitmotiv di chi ci lavora. “Quello che ha fatto la guerra è stato spaccare famiglie e amicizie,i vicini di casa di colpo sono diventati acerrimi nemici solo perché di un colore politico diverso, è questo il problema principale della Siria oggi”.Con il lavoro del centro Mahmoud invece si sforza di ricreare una base comune, che possa riavvicinare a livello umano le persone che vivono nelle diverse aree della città. “Già rispetto ad un anno fa vediamo i primi risultati, ora possiamo dire apertamente che è assurdo tagliare fuori da un paese un’intera costa – provincia di Latakia – solo perché abitata da alawiti”, dice, “se Assad è alawita non significa che se ne debbano andare tutti”. Se i negoziati dunque per il momento non fanno altro che riproporre le divisioni e suggellanoquell’ingerenza esterna che non fa altro che cronicizzare il conflitto, nel marasma della violenza e di interessi contrapposti, le persone come Mahmoud restano l’unica speranza di pace. E forse sono proprio queste persone che avrebbero diritto di aver più voce in capitolo sul futuro della Siria.
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