Famiglia

L’altro è un bene

A febbraio a Milano un ciclo di incontri dedicato a immigrazioni e cittadinanza. A proporlo il Centro Culturale di Milano con alcune realtà che nel concreto sono luoghi di dialogo e conoscenza reciproca

di Antonietta Nembri

“L’altro è un bene”. Un’affermazione per nulla scontata e anzi a ben guardare non sempre condivisa soprattutto se, come in questo caso, è il titolo di un ciclo di incontri dedicato ai migranti e alla cittadinanza: “L’altro è un bene – Immigrazioni e cittadinanza”. A proporlo, a partire dal 3 febbraio, il Centro Culturale di Milano in collaborazione con Dialoghi della vita buona, Nocetum, Vita, Progetto Arca, la Cooperativa Martinengo e la Casa della Cultura Islamica (il dettaglio dell’evento in agenda).

Per capire il perché di questi incontri e del loro titolo abbiamo sentito Camillo Fornasieri che del Centro Culturale di Milano è il direttore.

È la prima volta che affrontate questo tema?
In effetti lo avevamo affrontato alcuni anni fa incontrando delle realtà che nella città di Milano accoglievano e lavoravano in campo educativo con i migranti. Oggi è più matura la consapevolezza dell’importanza di queste tematiche anche perché lo scenario internazionale sta portando la gente ad avere paura. Da qui la necessità di cambiare registro con la consapevolezza che non si tratta più di integrazione, ma di amicizia.

Nel testo di presentazione del ciclo di incontri, viene ricordata la “guerra mondiale a pezzi” – dalla definizione di Papa Francesco – e l’idea che nel mondo globalizzato non vi sia più niente che “possa essere considerato come lontano. Il confronto con l’altro è ormai un tema ineludibile”. Inoltre viene incato come slogan “Prima della diversità c’è una comunanza”.
Si tratta di uno scarto culturale quello che proponete?
La sfida culturale riguarda la possibilità che i cittadini vivano un’esperienza reale di impegno tra loro. Non si tratta di colmare dei vuoti, ma della curiosità verso l’altro, della necessità di un’amicizia per cui l’altro è un bene. E siamo consapevoli della provocazione… Per questo si rende necessario che le persone riescano a esercitare un giudizio che nasca da un’effettiva lettura della realtà e per fare ciò occorrono corpi intermedi che sappiano leggerla. Da qui il giudizio e cioè che l’altro è sempre un bene. E questo non vale solo per gli immigrati, anche nel mio condominio il mio vicino di casa è un “altro” ed è una sfida quotidiana.

Per Fornasieri quindi l’immigrazione «ripropone il tema della cittadinanza e delle persone che abbiamo al nostro fianco. E se la cultura su questi temi si ritira non basterà avere ottime leggi, perché viene meno il patto sociale che si basa sulla fiducia».

Il primo appuntamento è intitolato “Immigrati, risorsa per l’Europa?” e accanto ai relatori sono previsti gli interventi di comunità ed esperienze…
Non vogliamo dare una definizione dell’immigrato. Ma renderci conto che c’è lui, la sua famiglia, la sua comunità, cultura e religione per questo tra i relatori abbiamo il presidente dell’unione degli imprenditori Italia-Cina, Francesco Wu e il direttore della Casa della Cultura Islamica Mahmoud Asfa, ma anche un demografo (Giancarlo Blangiardo) che ha il compito di farci capire quale è la realtà che abbiamo di fronte. Facciamo l’esempio del carcere su una popolazione di 60mila detenuti il 40% è straniero, ma questa non è la percentuale degli stranieri in Italia. Allora occorre farsi una domanda esiste un progetto capace di attrarre, capace di accelerare l’integrazione?

Proponete un ciclo di incontri molto articolato che comprende anche un concerto-incontro (il 22 febbraio) e una mostra a marzo. L’appuntamento con coro multietnico Elykia è intitolato “La bellezza si fa strada”, un caso?
La bellezza dell’arte, delle cose costruite sono proprio il punto in cui far venir fuori l’esperienza dell’umano. Per esempio a Brera è stato fatto un progetto (Brera un’altra storia) proprio su questo punto e una realtà come Progetto Arca che ha fa accoglienza conta proprio sulla bellezza (vedi news sul Progetto Bellezza). Ora il fatto di mettersi assieme, vuol dire che si può fare rete, che la bellezza è un punto di incontro in cui ciascuno con la propria identità cammina insieme verso il destino di felicità cui tutti aneliamo».

In apertura foto di Marcello Paternostro/Afp/Getty Images

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