Politica
Stepchild adoption: in Italia 14 adozioni a coppie omosessuali
Le ha riconosciute il Tribunale di Roma, sotto la guida di Melita Cavallo e il 23 dicembre la Corte d'Appello di Roma ha confermato la prima, risalente al 2014. Ecco perché adottare il figlio del convivente è già possibile, con la legge attuale. E cosa chiede esattamente il ddl Cirinnà
Il Parlamento è già diviso. Associazioni e cittadini si stanno – il termine dice già molto – schierando. Giudici e giuristi pure, con due manifesti contrapposti: l’appello di Articolo29 a favore della stepchild adoption conta ormai 623 adesioni (fra cui quelle della Camera Minorile di Milano, del Consiglio Direttivo dell’Unione Nazionale Camere Minorili e dell’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori); quello contrario, promosso dal Centro Studi Livatino ne ha raccolte 321. E se l’Unione Giuristi Cattolici Italiani ha detto di guardare «con viva preoccupazione all’attuale dibattito politico e mediatico sul riconoscimento delle unioni civili e della stepchild adoption» e ne chiede lo stralcio poiché «non sembrano essere stati presi adeguatamente in considerazione i diritti dei minori i quali, considerati oggetti piuttosto che soggetti, rischiano di essere pregiudicati dalla stepchild adoption», l’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori parla di «ritardo vergognoso». Gianluigi De Palo, presidente del Forum Famiglie ha detto che «questo ddl non piace a nessuna delle nostre associazioni e a milioni di famiglie italiane. È scritto male, apre chiaramente alla pratica dell'utero in affitto, smentisce la Costituzione italiana riguardo il matrimonio e non tutela mai la parte più debole. […] I bambini da beneficiari di diritti diventano un diritto per chi non riesce a farne e il matrimonio diventa un'istituzione messa in secondo piano».
La premessa
A luglio 2015 la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato il nostro Paese per la violazione dell’art 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, che impone agli Stati aderenti di riconoscere e tutelare il diritto al rispetto alla vita familiare senza alcuna discriminazione. La Corte Costituzionale già nel 2010 e nel 2014 ha ammonito il Parlamento italiano, affermando che le persone unite in coppie omosessuali hanno diritto ad uno status giuridico alternativo al matrimonio, se questo è loro precluso dalla legge. Non c’è, in questi documenti, esplicito riferimento alla materia “adozioni”, ma il giurista Alberto Gambino, cattolico, riconosceva già a luglio che se si tenessero fuori i temi più divisivi, «la Corte europea dei diritti dell’uomo come ha già fatto per altri Paesi interverrà dicendo: attenzione, avete dato dei diritti alle coppie conviventi dello stesso sesso, dei diritti che sono analoghi a quelli che nel codice civile hanno tipicamente le coppie sposate. A questo punto dovete anche assegnargli tutti gli altri, compresi reversibilità e adozione».
Il ddl Cirinnà
Presentato il 6 ottobre 2015 dalla senatrice Monica Cirinnà del PD (ddl 2081, Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili), inizierà il suo percorso in Aula al Senato il prossimo 28 gennaio. C’è tempo fino alle 13 di venerdì 22 gennaio per la presentazione degli emendamenti. Il ddl, per come è oggi, parla di adozione in due punti. All’articolo 3, comma 4, prevede che tutte le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi e negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano d’ora in poi anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Questo tranne un caso, quello delle adozioni: il ddl infatti dice nero su bianco che «la disposizione di cui al periodo precedente non si applica […] alle disposizioni di cui al Titolo II della legge 4 maggio 1983, n. 184», ovvero la legge sulle adozioni. Quindi anche dopo l’eventuale approvazione del ddl Cirinnà le coppie omosessuali, per quanto riconosciute in una «unione civile tra persone dello stesso sesso» continueranno a non poter adottare.
Il secondo punto in cui si parla di adozione riguarda invece la ormai famosa stepchild adoption, che nella legge è un termine che non compare mai. L’articolo 5 del ddl Cirinnà si intitola, alla lettera, “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184”, quindi non corrisponde nemmeno al vero il fatto che la legge 184 non viene per nulla toccata. La modifica prevista alla legge sulle adozioni è la seguente: «All’articolo 44, comma 1, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, dopo la parola: «coniuge» sono inserite le seguenti: «o dalla parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso» e dopo le parole: «e dell’altro coniuge» sono aggiunte le seguenti: «o dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso». L’articolo 44 della legge 184 regola l'adozione in casi particolari. La lettera b) cui fa riferimento il ddl Cirinnà, si occupa in particolare della adozione da parte del coniuge nel caso in cui il minore sia figlio (anche adottivo) dell’altro coniuge. Secondo quanto prevede oggi il ddl Cirinnà il figlio di una delle due parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso potrà, in futuro, essere adottato dall’altra parte. L’adozione in casi particolari, ciu fa riferimento l’articolo 44, è diversa dall’adozione per come è comunemente intesa che si chiama "piena" o "legittimante": in questo caso non cessano i rapporti con la famiglia d’origine, è necessario il consenso del genitore che esercita la potestà, l’adozione è revocabile.
Questo è ciò di cui stiamo parlando.
La stepchild adoption si può già fare
In Italia esistono già alcune sentenze che, facendo riferimento all'articolo 44 lettera d) della legge 184, poi modificata nel 2001, hanno disposto l’adozione da parte della convivente del figlio della madre biologica, all’interno di una coppia convivente omosessuale. «Sono 14, almeno fino al 31 dicembre 2015, quando sono andata in pensione», spiega Melita Cavallo, ex presidente del Tribunale per i Minori di Roma. «Nella maggior parte dei casi si tratta di due donne, in un caso di una coppia di uomini». Di adozioni con l’articolo 44 d) «se ne sono fatte centinaia, in tutti i tribunali: se non si fosse detto che le due persone in questione sono conviventi sarebbe andato tutto liscio. Ma il giudice non può discriminare in base all’orientamento sessuale, lo dice la Costituzione».
Per capire come sia possibile, tecnicamente, basta leggere la sentenza della Corte d'Appello di Roma pubblicata il 23 dicembre, che ravvisa quattro ragioni: come nella legge italiana, per l’adozione in casi speciali, non vi sia divieto di adottare per la persona singola (la condizione del matrimonio è richiesta solo per l’adozione piena o legittimante), come non vi siano limitazioni in riferimento all’orientamento sessuale delle persone adottanti, come non sia necessario lo stato di abbandono del bambino per procedere a un’adozione in casi speciali e come sia prioritario valutando se questo sia l’interesse del bambino, «dare una forma legale a ciò che di fatto già sussiste nella realtà della vita quotidiana e delle relazioni familiari» «a tutela del minore stesso», dice la sentenza della Corte d’Appello. Non è semplicissimo ma si comprende.
Il passaggio più complesso forse è questo: «Non si tratta di rispondere, in forza del legame sussistente fra X e Y, all’esigenza di queste ultime di riconoscimento di una bigenitorialità ma di valutare il legame esistente fra la minore e Y, quest’ultima considerata autonomamente e non per la relazione con la madre della minore». Melita Cavallo fa alcuni esempi: «Significa che l’adozione si può fare anche se non c’è convivenza con il genitore biologico e anche in presenza di una madre adeguata. È capitato che una vicina di casa tenesse il bambino perché la madre aveva gravi problemi di salute, poi la madre si sia resa conto di come la vicina fosse considerata dal figlio un punto di riferimento importante e abbia acconsentito all’adozione. anche qui erano due donne, senza legame affettivo. Oppure un medico single che ha adottato un bambino con frequenti ricoveri in ospedale, la madre era single e ha dato consenso. La novità ovviamente è l’elemento della convivenza e della relazione affettiva, ma come dicevo prima il giudice non può discriminare per questo».
Cosa cambierebbe quindi con il comma il ddl Cirinnà e con l'introduzione in una legge della stepchild adoption? «Sul piano pratico non cambia nulla», dice Cavallo. «Finora si è lavorato con la lettera d), forse con il ddl si lavorerà di più tramite la lettera b) del comma 44, ma c’è sempre la valutazione, che ritengo opportuno rimanga, senza automatismi. Ho visto differenze nelle situaizioni e mi è capitato di vedere un bambino che non accettava la compagna della madre: in quel caso ho disposto un approfondimento con nuove indagini, ci stanno ancora lavorando».
Foto PATRICIA DE MELO MOREIRA/AFP/Getty Images
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