Mondo

Farouq: «Il principale alleato di Isis è il nichilismo occidentale»

Dopo Istanbul il terrore arriva a Giacarta in Indonesia. I numeri dimostrano come per Is il nemico principale siano i musulmani. Ma il professore sottolinea, «non si tratta di un match tra buoni e cattivi, ma un problema che accomuna oriente e occidente e radicato al cuore delle contraddizioni umane di oggi»

di Lorenzo Maria Alvaro

Ad oggi, senza aggiungere nel conteggio Istanbul e Giacarta, dal 2014 in cui è nata Isis nel mondo ha organizzato 83 azioni, tra attacchi ed esecuzioni di ostaggi nel nome del Califfo. Dalla Siria e dall'Iraq, in poco tempo l'Isis ha ampliato il proprio campo di battaglia, riuscendo a colpire tutti i continenti con metodologie diverse.

Genocidi, assedi, attentati: in tutto dal giugno 2014 lo Stato islamico e i gruppi terroristi affiliati hanno ucciso più di mille e seicento persone. Il paese più colpito del Vecchio continente è la Francia, con 136 vittime. Ma in Egitto per mano dell'Isis sono morte ben 289 persone, 271 in Nigeria e 250 nello Yemen.

In tutto le esecuzioni di ostaggi sono state 600, documentate da video e foto diffusi sul web: così l'Isis è diventata l'organizzazione terroristica più pubblicizzata in Occidente. Ma in realtà il suo affialiato africano, Boko Haram, è molto più sanguinario: i loro attacchi vengono pianificati per fare il maggior numero di vittime possibili. Di solito gli obiettivi sono mercati, moschee e luoghi pubblici in orari di punta.

Su 20 attacchi contro luoghi sacri, sono state prese di mira solo una sinagoga (a Copenaghen) e una chiesa (a Villejuif, dove l'attacco è stato sventato). Negli altri 18 casi l'obiettivo erano le moschee (principalmente in Nigeria, Camerun, Arabia Saudita e Yemen). La maggior parte delle vittime è di religione musulmana: i miliziani hanno intrapreso un'operazione di "pulizia religiosa" prendendo di mira sauditi e sciiti in Medio Oriente e in Africa occidentale.

La città che è stata più volte teatro di attentati è Maiduguri in Nigeria, capitale dello stato federale del Borno. Qui Boko Haram ha colpito otto volte. Lo stesso numero di attentati si sono svolti a Raqqa, cittadina siriana quartier generale dall'Isis. Sana'a, capitale dello Yemen, è stata sotto attacco ben sei volte ma solo da parte dei jihadisti. La segue Riyad, capitale dell'Arabia Saudita, con quattro attentati nell'ultimo anno e mezzo. A Tunisi, Il Cairo, Sinai e Fotokol (Camerun) gli attentati sono stati tre.

L'unica area geografica che ancora Isis non ha colpito è l'America del Sud. Nel resto del mondo i suoi simpatizzanti, affiliati o le cellule hanno ucciso nel nome del Califfo. Tuttavia sono i paesi del Medio Oriente e quelli africani i più colpiti. In Nigeria gli attacchi sono stati 13 e nonostante la comunità internazionale sospetti che dai Paesi del Golfo arrivino diversi finanziamenti ai miliziani, l'Arabia Saudita è stata teatro di ben 10 attacchi.

La maggior parte sono stati organizzati di venerdì, giorno della settimana che l'Islam tradizionalmente dedica alla preghiera. Questo perché il primo obiettivo rimangono i musulmani: ogni venerdì i fedeli sauditi e sciiti affollano le moschee e questo garantisce un maggior numero di vittime.


Una serie di numeri che dimostrano quello di cui è convinto Weal Farouq, docente egiziano e musulmano di “Scienze linguistiche e lingue straniere” all’Università Cattolica di Milano e blogger di Vita: «Quella dell'Isis è una battaglia interna all'Islam. Il più grande nemico di Isis sono i musulmani stessi. Ecco perché oggi la guerra è nel mondo musulmano e le vittime islamiche sono quelle più numerose. Il primo passo del piano di isis è purificare l'Islam dai musulmani. Quando sarà fatto questo allora potrà cominciare la guerra contro l'Occidenteche non è ancora cominciata. Gli attacchi in Occidente, come quelli di Parigi, sono solo propaganda. Non sono attentati contro gli occidentali ma di proselitismo nei confronti degli islamici».

Ma Farouq ci tiene a sottolineare un aspetto: «Non sono contento quando vedo brave persone che cercano di difendere le vittime musulmane dicendo che muoiono più di altre. Non solo perché credo che non conti l'identità della persona che muore perché, come dice il Corano uccidere una sola persona è come uccidere il mondo intero. Ma anche perché si rischia una banalizzazione fuorviante».

Secondo il professore infatti «il problema principale di oggi è la banalizzazione. Semplifichiamo ciò che in realtà è molto complesso. Queste semplificazioni, come nel caso del terrorismo islamico, portano a ricostruzioni bizzarre come la riduzione di miliardi di musulmani ad un gruppetto terroristico».

Il fatto è che per Farouq «questa guerra nel mondo islamico assomiglia molto al conflitto interno che vive l'Occidente. Basti pensare come qui si parli di valori ma poi si sopporti il mercato delle armi e della guerra. Lo ha ricordato anche Papa Francesco. Sono contraddizioni che esistono nel mondo Occidentale e che somigliano molto a quelle che esistono all'interno dell'islam».

«Se cominciamo a considerare che non è una guerra tra Islam e occidente ma una guerra universale per la difesa di certi valori umani», sottolinea Farouq, «cominceremo ad avere più chiaro chi è il nemico. Il miglior alleato di Isis infatti è il nichilismo occidentale. Quello sguardo alla libertà dell'uomo sempre come qualcosa di astratto e realizzabile da soli. Questa impostazione è l'altra faccia della medaglia del radicalismo».

Un esempio concreto? Il professore non ha incertezze: «Chi arma Isis che persona è? Che cuore ha? Che tipo di uomo è? E chi compra il petrolio dell'Isis? Mi sembra evidente che il problerma non è religioso o relativo ad un sola parte del mondo. È molto più compicato. È un conflitto radicato al cuore delle contraddizioni umane di oggi. Isis è solo una forma estrema delle contraddizoni in cui viviamo ogni giorno in occidente».

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.