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Impagliazzo, Sant’Egidio: Corridoi umanitari sono la sintesi di umanità e sicurezza
Intervista al presidente della Comunità di Sant'Egidio pochi attimi dopo l'annuncio ufficiale dell'accordo interministeriale per i primi viaggi sicuri di mille rifugiati da Libano e Marocco - tra sei mesi anche Etiopia - verso l'Italia, che avverranno un mese. "Ora il modello va esportato in Europa: già in preparazione in Spagna e Austria, avviati i contatti anche con l'Unione europea"
Finalmente. I primi corridoi umanitari di profughi verso l’Italia sono attivi da questa mattina, 16 dicembre 2015, e concretamente “le persone toccheranno suolo italiano tra un mese al massimo”, ci spiega a caldo Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ente artefice di un accordo storico – il primo nel suo genere – assieme alla Fcei, Federazione delle chiese evangeliche d’Italia.
Corridoio umanitario: ci cosa stiamo parlando?
Di un progetto sperimentale che intende evitare altre morti in mare e consentire a persone in condizioni di vulnerabilità di accedere al sistema di protezione internazionale attraverso l’ingresso legale sul territorio nazionale. Tale progetto è stato attivato grazie a un protocollo d’intesa tra Sant’Egidio, Fcei, Tavola Valdese, ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e ministero dell’Interno. Il fatto che arrivi nell’anno del Giubileo ha una valenza sia politica che di misericordia molto importante.
Chi riguarda e come funziona nei fatti?
Riguarda almeno mille adulti, con bambini al seguito, che presentano situazioni di vulnerabilità, per esempio legate a minori in difficoltà, disabilità, presenza di anziani malati. Persone che ora si trovano in Libano – siriani in fuga dalla guerra e ora in un campo profughi – e in Marocco – persone di Gambia, Mali e anche in questo caso, Siria – e che nei mesi scorsi sono state conosciute sia dalle associazioni presenti in loco, come la Papa Giovanni XXIII attraverso il proprio corpo civile di pace Operazione Colomba, sia dalle autorità, dato che funzionari del ministero dell’Interno si sono recati sul posto per fare tutte le analisi del caso e rilevare le impronte di queste persone. Stiamo parlando di un sistema che concilia umanità e sicurezza, ovvero quelle che consideriamo le priorità quando si parla di persone in fuga da quelle zone. Tra sei mesi, su richiesta dello stesso ministero dell’Interno, si aprirà anche all’Etiopia, per persone in fuga da Eritrea e Sudan.
Una volta in Italia, dove troveranno alloggio i rifugiati?
Saranno tutti titolari di protezione umanitaria e verranno inseriti nelle nostre strutture e in quelle della Federazione evangelica. Con progetti di accoglienza e integrazione che gestiremo interamente con fondi nostri: se la Fcei attinge dall’8 per mille per un milione di euro, noi abbiamo stanziato i primi 200mila euro a cui si aggiungeranno le offerte dei fedeli che verranno raccolte a questo scopo nelle cellette di Natale in ogni nostra presenza nel mondo.
Siamo di fronte a un’assoluta novità per l’Italia. Potrebbe diventare un modello?
Assolutamente sì. Vogliamo sperimentare una buona pratica replicabile in altri contesti europei, in particolare reintrodurre il sistema della sponsorship nella legislazione italiana e in prospettiva introdurlo in Europa come già avviene in altri continenti come il Nord America (Canada e Stati Uniti). Uno sponsor è qualcuno che garantisce la validità socio-economica del progetto dall’inizio alla fine. Si distingue inoltre dai progetti di reinsediamento o resettlement in quanto prevede di prendere in considerazione specifiche situazioni individuali che per la loro vulnerabilità sarebbero facili vittime del traffico di esseri umani, ad esempio, donne sole con bambini, vittime di tratta, anziani, persone affette da disabilità o serie patologie. Potrebbe inoltre contemplare la possibilità di consentire l’accesso in forme legali all’Europa di sfollati con evidente bisogno di protezione internazionale e può comprendere persone riconosciute rifugiate dall’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati.
Ci sono già contatti per altre zone d’Europa?
Sì, noi stiamo portando avanti la stessa azione in Spagna, la Fcei in Austria, in entrambi i casi si dovrebbe arrivare a una soluzione positiva non troppo in là nel tempo.
E a livello di Unione Europea? La richiesta da parte di gran parte della società civile e non solo di aprire corridoi umanitari continentali è sul banco da molto tempo…
Questa nostra azione si accompagna a un forte messaggio, ovvero che i canali umanitari si possono fare anche a livello di Europa unita. Vediamo segnali positivi in tal senso, perché lo stesso Commissario ue per Migrazioni e affari interni, Dimitris Avramopoulos, incontrato pochi giorni fa, ha detto informalmente che vorrebbe invitarci a parlarne in un’audizione all’Europarlamento. Ha prospettato marzo 2016: in ogni caso spero che avvenga nel più breve tempo possibile.
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