Mondo
Francesco in Africa per la globalizzazione della solidarietà
Padre Giulio Albanese, missionario comboniano, giornalista e blogger di Vita, al seguito del Pontefice: «È un viaggio all’insegna della misericordia. In effetti è il preludio del Giubileo che per la prima volta vedrà l'apertura della Porta Santa decentrata, non a Roma ma nei bassifondi della storia, nella perfieria dell'esistenza»
Il viaggio africano di Papa Francesco è innanzitutto all’insegna della misericordia. In effetti è il preludio del Giubileo e per la prima volta nella storia, se Dio vorrà, verrà aperta nei bassifondi della storia, nella periferie dell’esistenza. È un viaggio che rappresenta, è la metafora, del pensiero teologico di Papa Francesco rispetto alla missione ad gentes.
Ci sono tre aspetti fondamentali che riassumono questo viaggio: il primo è la Chiesa in uscita, da San Pietro alle periferie, il secondo è la periferia il locus per eccellenza della missione, geografica ed esistenziale e infine la povertà. È la trilogia simbolica di questo viaggio.
Altro aspetto molto importante è che l’Anno Santo inizia in Africa e non a Roma. Il Papa ha deciso che la prima Porta Santa ad aprirsi sarà quella della cattedrale di Bangui. Un fatto storicamente rilevante e fondamentale per farci capire la Chiesa per evangelizzare deve stare dalla parte dei poveri. Siamo di fronte ad un cristianesimo decentrato, come in effetti è sempre stato teologicamente, di cui troppo spesso ci dimentichiamo.
Rispetto alle tre tappe alcune questioni sono comuni ai Paesi che verranno toccati altre invece specifiche.
Kenya e Uganda hanno come comun denominatore l’esclusione sociale. Quindi centrali sono la giustizia sociale e il landgrabbing.
Un aspetto specifico del Kenya invece è che rappresenta la linea di faglia tra Oriente e Occidente. Il Kenya infatti è impegnato dal 2011 militarmente in Somalia sotto l’egida delle Nazioni Unite. Un impegno di cui sta pagando lo scotto in termini di attentati. Ci siamo tutti soffermati su quello di Garissa, ma bisogna fare attenzione: di attentati ce ne sono stati a bizzeffe, numerosi nella stessa Nairobi. Quindi Papa Francesco si confronterà con l’uso della religione strumentale a fini politici e ideologici.
L’Uganda invece ha un grande significato dal punto di vista ecclesiale, perché è una chiesa nata grazie al sacrificio dei martiri. 22 persone uccise tra il 1885 e il 1886. Il fatto che il Papa si rechi a 50 anni dalla loro canonizzazione, avvenuta nel 1964, in occasione della celebrazione di questo anniversario, rinviata di un anno proprio per aspettare il Pontefice, è importante perché tutti questi martiri sono laici. I veri evangelizzatori della Chiesa in Uganda sono laici. Il messaggio è chiaro: la Chiesa deve andare al di là delle tutele clericali, è importante che il ruolo dei laici, dal punto di vista della missione e della evangelizzazione, torni ad essere centrale.
Il Centrafrica infine solleva tante questioni. In primo luogo continua ad essere il teatro di una guerra dimenticata. Una lotta per il potere camuffata da guerra di religione. Alla base degli scontri c’è l’interesse per lo sfruttamento delle enormi risorse di questo territorio. Global Witness, una onlus inglese, ha dimostrato documenti alla mano che ci sono diverse compagnie europee, libanesi e cinesi che hanno finanziato tutte le forze in campo per avere il controllo sul legname. E poi ci sono petrolio, uranio, diamanti e oro. Potrebbe un paradiso terrestre e invece è un terra di conquista. E questo dramma è anche una responsabilità dell’Occidente. La Francia in particolare dovrebbe su questo fare un serio esame di coscienza. Il Papa dunque dimostra, andando lì, di essere l’unico statista che ha a cuore la res publica dei popoli, che va ben al di là di questioni nazionali.
Papa Francesco, in conclusione, attraverso questo viaggio sta mostrando in cosa consiste l’evangelizzazione: la globalizzazione intelligente di Dio. Che è la globalizzazione della solidarietà, l’esatto contrario della globalizzazione dell’indifferenza che è il virus letale dell’Europa. Da questo punto di vista il Papa gioca in contropiede.
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