Mondo

Fitna: la guerra di tutti contro tutti

In arabo "fitna" significa sedizione ed è sinonimo di disordine e disunità. Come categoria teologico-politica, esplicitamente condannata dal Corano, "fitna" indica la sedizione che porta alla disgregazione interna mettendo a repentaglio i fondamenti su cui poggiano la comunità ("umma") e l'identità dei fedeli: la sottomissione a Dio. Un termine, "fitna", che nell'attuale scenario geopolitico è diventata parola chiave per definire le lacerazioni che stanno attraversando il mondo islamico sempre più minacciato da fazioni islamiste in lotta col mondo e fra di loro. "Fitna" diventa allora sinonimo di guerra civile globale. Ma quello geopolitico, non meno e non più di quello inter e infra "religioso" è solo un punto in quell'infinita serie di punti che definiscono il nuovo ordine multipolare

di Marco Dotti

Nel Corano si legge che "la sovversione è più grave dell'uccisione" (II, 191). Il termine arabo fitna (فتنة‎ ) significa appunto sedizione, separazione o discordia, ma anche tentazione, prova.

Fermiamoci sulla soglia, chiediamo scusa agli islamisti per questa invasione di campo e ragioniamo di "sedizione" e "sovversione". Spinta a un limite estremo, la sedizione/sovversione tocca il punto di rottura e diventa guerra civile, concetto politico-teologico che il termine fitna, oggi, viene quasi esclusivamente a identificare.

Come la guerra civile condotta su ogni fronte, la fitna mette a repentaglio non solo l'unità – in questo è ben più di una scissione – ma l'identità, ossia la compattezza ed esistenza della comunità musulmana, laumma. Nel Corano, però, fitna è usato in un senso abbastanza largo, per identificare la tentazione alla disubbedienza indotta dal demonio, l'abiura o la rivolta contro i comandamenti divini.

Se islam significa, letteralmente, "sottomissione" alla volontà e alla Legge di Dio, fitna significa, letteralmente, "ribellione" a quella Legge e a quella volontà. Per questo il Corano la condanna senza appello.

Autorità spirituale e potere temporale

Nella crisi apertasi sia sul piano del potere spirituale, sia su quello del potere temporale nel I secolo dell'egira per la successione del Profeta si innestano tanto il problema storico, quanto la lacerazione metastorica della fitna, termine che finisce così per definire tanto il disordine conseguente alla guerra civile, quanto la guerra civile in sé.

Attorno alle tensioni materiali e teologiche della fitna si svela un problema di legittimità e di legittimazione. Di legittimazione o meno della ribellione dinanzi a un potere legittimo, ma ingiusto. Di legittimità, temporale ma fondata sullo spirituale, del potere stesso. Potere temporare e autorità spirituale sono semisfere scisse solo nella prospettiva "occidentale", di questo dobbiamo sempre tener conto.

Recita un celebre detto (hadith) del Profeta: "Dopo di me scoppieranno dei disordini (fitan, plurale di fitna, ndr) tali che colui che è credente al mattino sarà un infedele alla sera, e colui che è credente alla sera sarà un infedele il giorno dopo".

La ribellione contro ogni potere temporale viene in tal modo percepita come immediata sedizione del suo fondamento religioso, non più distinto e pertanto capace di provocare non solo discordia o divisione, ma eresia.

Se la ribellione all'autorità spirituale e al potere che temporalmente la rappresenta vengono condannate senza appello, la riflessione si sposta – con mille distinguo dottrinali – proprio sulle condizioni ex ante di legittimità di quel potere.

Lo spartiacque

Uno spartiacque fondamentale rispetto al nostro problema lo troviamo alle origini della storia musulmana. Ci viene dalla guerra civile scoppiata attorno alla questione del Califfato, ovvero della successione del Profeta Maometto, nel I secolo dell'egira, VII dell'era cristiana. In questo senso, si può dire che la fitna sia una tesione essenziale e cruciale che attraversa l'universo dell'islam.

La guerra civile scoppiata tra ‘Alî Ibn Abî Tâlib, quarto dei califfi "ben guidati" nonché genero del Profeta, e il governatore della Siria, Mu’awiya ibn Abi Sufyan, che istituì la dinastia ommayade, è nota come al-fitna al-kubrâ, ovvero la “grande discordia” o prima fitna. Altre ne seguirono, fino all'attuale.

Non semplice lotta di potere, la" grande discordia" mise in questioni dimensioni politico-religiose e spirituali tuttora irrisolte. ‘Alî Ibn Abî Tâlib divenne così il primo imâm dello sciismo. Data simbolicamante dal 661, l'effettiva divisione , frutto di un lungo processo storico, tra sunnismo (seguaci della tradizione, sunna) e sciismo (seguaci di ‘Alî). Sunniti e sciiti: visioni diverse all'interno di una stessa dottrina.

Stati senza conflitto interno?

Gli sciiti nel mondo sono oggi 156 milioni quasi interamente concentrati nell'area della Repubblica Islamica dell'Iran. I sunniti sono 1,35 miliardi, diffusi tra Pakistan, Turchia, Indonesia – ad oggi il più grande paese musulmano, con 240milioni di abitanti – e nella gran parte della regione araba. Concentrazione da un lato, disseminazione dall'altro.

Il sunnismo comprende oggi più dell' 80% dei musulmani e ha come punto di riferimento l'Arabia Saudita, Paese dove il "credo" è improntanto al rigorismo wahhabita* e che nel 2013 ha donato 100 milioni di dollari al Centro Antiterrorismo delle Nazioni Unite ma viene accusato quanto meno di "doppiezza" rispetto al sedicente Stato Islamico** autoproclamato il 28 giugno del 2014 da Abu Bakr al-Baghdadi, ma a suo tempo evocato da Osama bin Laden.

Paese con la più alta concentrazione di riserve petrolifere al mondo, a presidio del Regno dell'Arabia Saudità c'è uno degli eserciti peggio equipaggiati al mondo, composto da circa 200mila unità, ingaggiate più al fine di dissuasione delle rivolte interne che per un reale contrasto alle eventuali aggresione di Stati esteri.

La fitna è menzionata anche in una legge di sicurezza nazionale promulgata – ricorda Olivier Da Lage nel suo libro sulla geopolitica saudita – nel 1965. Con questa normativa, veniva vietata la costituzione dei corpi intermedi – associazioni sindacali e politiche in primo luogo – e il trasgressore era accusato di di sedizione, in arabo fitna.

Caos globale e guerra infra-sunnita

Forte potrebbe essere, a questo punto, la tentazione di ridurre la dimensione globale e asimmetrica della guerra al solo conflitto settario fra sunniti e sciiti.

È indubbio che, sul piano geopolitico, la rivoluzione khomeinista del 1979 ha acuito la conflittualità religiosa attorno alla zona del Golfo Persico.

Al di là dell'accresciuto ruolo strategico dell'Iran e dei conflitti che, inevitabilmente, questo semplice fatto può generare e al di là della tensione comunque crescente fra i due blocchi, appare opportuno ricordare che il fronte della guerra di faglia nella lente dei teorici del caos globale e dello scontro di civiltà si è da anni concentrato contro l'islam tutto. In questa strategia e a certe condizioni, come spiegava a suo tempo Samuel P. Huntington, il fanatismo islamista poteva diventare un alleato tattico. Oggi è proprio questa alleanza tattica, ideale o concreta che fosse, a "fare problema": è semplicemente "sfuggita di mano"? A chi? O il caos era e rimane la prospettiva di scenario permamente in cui vogliono (anche qui: chi?) farci precipitare?

Il mondo multipolare non è un campo di calcio

Lo schema bipolare sarebbe però una lettura banalizzante, se assunta come esclusiva. All'interno del mondo sunnita, ad esempio, abbiamo assistito e assistiamo a una serie infinita di contrasti in gran parte legati a questioni di egemonia, punto questo che ha fatto declinare il termine fitna allo scontro intersunnita e, all'interno di questo scontro, al conflitto inter-fondamentalista.

Questa guerra impura ha la struttura della matrioska: una bambola non esclude l'altra, al contrario: la coimplica.

Pensiamo solo a titolo di esempio all'opposizione della stessa Arabia Saudita rispetto alla presa di potere da parte dei Fratelli Musulmani in Egitto, dopo la caduta di Mubarak. Anche l'Isis, come ci ricorda Graeme Wood su The Atlantic, considera "apostati" i vertici della Fratellanza.

A rigor di logica e a colpi di semplificazioni, avrebbero dovuto appoggiarli. In verità, anche l'universo sunnita è estremamente dinamico, non è anora egemonizzato quantitativamente dal fanatismo e questo dinamismo preoccupa non poco alcune delle élites più occidentalizzate e i fautori di un wahhabismo 2.0.

Ecco perché, anziché parlare di "fanatici invasati" o attardarsi come voyeur sadici sulle immagini uscite dai loro laboratori di montaggio cinematografico, nel caso dell'Isis più utile a tutti sarebbe stato coglierne l'ideologia apocalittica, venata di un grottesto wahhabismo, ma anche di una ramificazione finanziaria irrelata agli algoritmi della finanza d'assalto.

Come capiamo a spese nostre e altrui, giorno dopo giorno,

nel mondo multipolare, le (multi) polarità sono tante e i conflitti geopolitici sono solo una parte, non il tutto.

Proprio per questa ragione, il pericolo più grande è quello di una guerra civile globale o Weltbürgerkrieg, declinata nel mondo islamico come fitna, qui e ora, dall'altra sponda, come stato di eccezione permamente.

Se il sovrano non decide più dello stato di eccezione

Si è molto discusso di "guerra civile globale" dopo l'11 settembre 2011, individuandone il paradigma nella "sospensione dei diritti" e nella retorica della "tolleranza zero". Forse non avevamo capito ciò che oramai è chiaro a tutti:

in questa guerra civile globale a essere sospeso è prima di tutto la potestà primaria del sovrano, la sua capacità di dichiarare l'entrata in guerra.

Se un mostro c'è, questo mostro ha mille teste e non saranno due, dieci o mille bombe a schiacciarlo.

La frase grottesca di Hollande "siamo in guerra" è lì a dimostrare che il Sovrano non decide più nulla, nemmeno dello stato di eccezione. Vi è trascinato dentro.

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Note

* Il wahhabismo è un movimento rigorista musulmano sorto alla metà del XVIII sec. Fondatore fu Muḥammad ibn ‛Abd al-Wahhāb (n. 1703 – m. 1792), le cui idee ebbero l’appoggio dell’emiro Muḥammad ibn Sa‛ūd, fondatore della dinastia tuttora regnante in Arabia Saudita, Paese che ne porta il nome. I wahhabiti ripudiano ogni credenza o usanza giudicata contrastante o introdotta posteriormente ai primi insegnamenti dell’islamismo, e tra queste il culto dei santi, dei luoghi santi e delle loro tombe, compresa quella del Profeta. Rifiutano inoltre il misticismo e la teologia speculativa (kalām). La diffusione del wahhabbismo ha subito una accelerazione, legata anche agli investimenti "diretti" e "indiretti" e all'accresciuta influenza dell'Arabia Saudita, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, in concomitanza con l'accrescersi del mercato del petrolio.

** Nel 1999 apparve la denominazione "Jamaat al-Tawhid wal- Jihad", trasformato 5 anni più darti, dal fondatore Abu Musab al Zarqawi, in "Tanzim Qaidat al-Jihad fi Bilad al Rafidayn". Nel 2006, sotto la guida di Abu Bakr al Baghdadi, il nome si trasformò in «Islamic State in Iraq» (ISI). Isis, Is, Isil, Daesh, dunque? Secondo quanto riportava The Guardian in un articolo del 21 settembre 2014, in francese l'espressione Daesh sarebbe stata scelta come acronimo per le sue assonanze con termini vagamente dispregiativi (dèche, douche, tache)..

Fonti:

Enciclopedia delle religioni, diretta da Mircea Eliade, volume 8: Islam, Jaca book/Città Nuova 2004; Dizionario del Corano, a cura di Mohammad Ali Amir-Moezzi, Mondadori, 2007; Dizionario dell'Islam, a cura di Massimo Campanini, Rizzoli, 2013; Hichem Djaït, La grande discorde. Religion et politique dans l’Islam des origines, Gallimard, 1989: Olivier Da Lage, Geopolitique de l'Arabie Saudite, Editions Complex, 2006.

Immagine in copertina: Eugène Delacroix, Fantasia araba (1883)

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