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Tomorrowland: la cooperazione allo sviluppo vista da Emilio Ciarlo

Tra i protagonisti della nuova Legge 125, Emilio Ciarlo spiega i nuovi scenari che si aprono nel mondo della cooperazione internazionale e il ruolo che l'Italia è chiamata a svolgere, associando in modo coerente strumenti ed attori nuovi e tradizionali.

di Joshua Massarenti

“C’era un tempo in cui parlare di cooperazione allo sviluppo voleva dire soprattutto raccolte di denaro per costruire pozzi in Africa, bollettini postali per adottare bambini a distanza, piccole comunità che donavano risorse per costruire scuole o rifornire ospedali in paesi che, con un certo paternalismo, consideravamo sottosviluppati o, al più, ‘in via di sviluppo’. Oggi una nuova generazione è chiamata a fare un passo in avanti, conservando lo spirito dei pionieri ma avendo il coraggio di superare categorie e concetti non più sufficienti a raggiungere pienamente gli obiettivi comuni. Quelli di sempre: la promozione dell’uomo, la liberazione dei popoli dal bisogno, lo sradicamento della povertà, il sostegno della democrazia, la diffusione di uno sviluppo sostenibile”. Da buon avvocato ed esperto di diritto e relazioni internazionali, Emilio Ciarlo ha il dono della sintesi. Basta leggere i primi paragrafi di Tomorrowland (“La terra del domani”) per intuire quanto la cooperazione allo sviluppo sia cambiata negli ultimi decenni.

Oggi una nuova generazione è chiamata a fare un passo in avanti, conservando lo spirito dei pionieri ma avendo il coraggio di superare categorie e concetti non più sufficienti a raggiungere pienamente gli obiettivi comuni.

Emilio Ciarlo

Ciao Bob, è stato bello

Che i tempi del Live Aid promosso da Bob Geldof nel lontano 1985 fossero belli che chiusi non è una sorpresa per nessuno. Almeno non per gli adetti ai lavori. Ma mai a distanza di 30 anni avremmo immaginato di doverci confrontare con una narrativa dello sviluppo declinata attraverso strumenti di cooperazione da far venire il mal di testa. Eppure i vari “impact investing funds”, “Advanced Market Commitment”, “Diaspora Bond”, “Catastrophe Deffered Drawdown Option” oppure “USAID Innovation Ventures” sono realtà con cui è necessario fare i conti. Per chi non fosse riuscito a risettare la propria agenda dello sviluppo, Tomorow land risulterà utilissimo. Per i neofiti, proponiamo di porsi le tre seguenti domande: cosa mai è successo tra il mega-concerto del celebre cantante-attivista britannico e quello che oggi viene definitiva da alcuni esperti “la cooperazione internazionale 2.0”? In che modo l’Italia ha attraversato questi 30 anni di globalizzazione rampante degli aiuti allo sviluppo? Ma soprattutto, che ruolo il nostro paese intende assumere nell’era dei nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) adottati nel settembre scorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite?

A questi interrogativi, Emilio Ciarlo, che è stato uno dei protagonisti della grande stagione riformista della cooperazione italiana, ha il merito di rispondervi con grande chiarezza, anche grazie ai contributi di esperti e politici di livello internazionale. Del resto, è sufficiente scorrere il sommario di Tomorrow Land per intuire i mondi che oggi s’incrociano nella cooperazione allo sviluppo. Da Federica Mogherini (attuale super-ministro degli Esteri dell’UE) a Lapo Pistelli (ex vice ministro degli Esteri con delega alla cooperazione internazionale e padre della nuova legge 125), passando per Simon Maxwell (esperto), Amina J. Mohamed (special advisor di Ban Ki-Moon per l’agenda post 2015), Nino Sergi (fondatore dell’Ong Intersos) e Marco Carletto (amministratore delegato del gruppo Calzedonia), la lotta contro la povertà mondiale e per una crescita sostenibile chiama a raccolta attori molto diversi fra loro (istituzioni, organismi internazionali, società civile, settore privato- finanziario).

Le sfide di sicuro non mancano. Nonostante i progressi registrati con gli Obiettivi del Millennio (MDGs), ricorda Ciarlo nel suo saggio introduttivo, “rimangono circa un miliardo di persone, una sessantina di Paesi, bloccati in quelle che Paul Collier chiama le quattro ‘trappole della povertà’: conflitti, assenza di risorse naturali, assenza di sbocchi al mare, malgoverno”. Affianco a queste realtà, “gli investimenti diretti nei Paesi in via di sviluppo (che oramai chiamiamo Paesi partner) nel 2014 hanno raggiunto la cifra di 778 miliardi di dollari (UNCTAD), le rimesse degli immigrati quella di 436 miliardi (dati Banca Mondiale), triplicando il volume complessivo dell’aiuto ufficiale dei Paesi DAC”. L’Africa riassume bene questo contrasto tra una crescita annua media del Pil che spesso supera il 5% e disuaglianze sociali in continua espansione. Il fenomeno è tanto più preoccupante che, come sottolinea Nino Sergi, “la popolazione africana passerà dagli attuali 1,1 miliardi di persone a 2,4 nel 2050 con un’età media intorno ai 20 anni contro i 43 dell’UE e con 700 milioni di persone in età lavorativa”. Non è quindi “difficile che questa situazione concorra non solo ad alimentare i flussi migratori, ma anche a innescare una bomba sociale con conseguenze pesanti sulla stabilità di regioni” come l’Africa, sostiene Ciarlo.

Dalla logica degli aiuti alla partnership

Per scongiurare questo pericolo, la Comunità internazionale si è fissata tre appuntamenti nel 2015: la terza Conferenza internazionale sul finanziamento per lo siluppo tenutasi in luglio ad Addis Ababa e in cui sono stati individuati gli strumenti finanziari e le risorse necessarie per implementare gli SDGs (approvati a New York in settembre) e la nuova agenda sul clima che, dal 30 novembre all’11 dicembre verrà discussa a Parigi con lo scopo di “raggiungere un accordo universale e vincolante in grado di contrastare efficaciemente i cambiamenti climatici e guidare la transizione verso società ed economie a basso utilizzo di carburanti fossili”.

Oggi tutti gli Stati hanno una responsabilità condivisa per assicurare il nostro futuro comune e sostenibile.

Amina J. Mohammed

Al di là dei miliardi che sono in gioco e dei nuovi strumenti finanziari che si vogliono implementare (vedi il blending) per raggiungere la fatidica soglia dello 0,7% del Pil da riservare agli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) nell’area OCSE, Ciarlo attira l’attenzione sulla nuova agenda dello sviluppo che la Comunità internazionale sta adottando. Un’agenda non più centrata soltanto sugli aiuti e un’approccio tecnicistico alla povertà, ma che si vuole universale (indirizzata cioè a tutti i paesi e non sono quelli in via di sviluppo), più politica ed olistica (che tratta di tutti i settori, dall’ambiente ai diriti umani). Sono tre i concetti chiave che caratterizzano la “nuova grammatica dello sviluppo”, perché come afferma Amina J. Mohammed, “tutti gli Stati hanno una responsabilità condivisa per assicurare il nostro futuro comune e sostenibile. I 17 obiettivi di sviluppo sostenibili, con i loro 169 targets”, prosegue Mohammed, “sono per loro natura globali e universalmente applicabili e ogni nazione dovrebbe cercare di allineare le proprie politiche e i propri piani di sviluppo nazionali con l’ambizioso framework globale, accordandole con i bisogni e le capacità dello Stato”. L’Italia come il Burundi. Ma per questo c’è bisogno dello sforzo di tutti, in quanto “la piena ed effettiva partecipazione di tutti gli attori sarà essenziale nella fase di monitoraggio, revisione e follow up della nuova agenda. Il nuovo paradigma della ‘accountability’ deve includere governi, istituzioni internazionali, il settore privato, la società civile e le stesse persone”.

Cooperazione italiana: una rivoluzione copernicana

Già, l’accountability. Una sfida per tutti, special modo per l’Italia, dove cresce la percentuale di cittadini (soprattutto giovani) che non considerano la cooperazione allo sviluppo un politica prioritaria né dell’UE, né dell’Italia (55% contro 67% nel resto dell’Unione, secondo l’ultimo sondaggio di Eurobarometro). Ma in che modo il nostro governo intende superare questo scetticismo? Soprattutto, come sostiene Ciarlo, “in fondo perché un cittadino dovrebbe approvare una linea di finanziamento statale, sovvenzionata con i soldi dei contribuenti, per fare doni e azioni filantropiche in giro per il mondo quando a quella finalità lavorano tante ONG, Chiarities internazionali p Agenzie delle Nazioni Unite?”

L’Africa è la più grande opportunità che abbiamo davanti a noi, ma siamo rimasti vittime di decenni di trascuratezza e anche di un certo atteggiamento talvolta ideologico di alcuni mondi.

Matteo Renzi

Alcune risposte ce le ha date Matteo Renzi in un’intervista rilasciata rilasciata a Vita (vedi il numero di agosto), in cui il Premier ha insistito sulla necessità di guardare a un continente come quello africano in modo radicalmente diverso rispetto al passato. “L’Africa è la più grande opportunità che abbiamo davanti a noi”, ha dichiarato il Premier, “ma siamo rimasti vittime di decenni di trascuratezza e anche di un certo atteggiamento talvolta ideologico di alcuni mondi”. Assieme al cambio di passo culturale da compiere, su cui la classe politica e i media italiani hanno grandi responsabilità, “è necessario rafforzare la nostra cooperazione italiana e il suo peso a livello internazionale”, ha dichiarato il Presidente del Consiglio. Con l’ultima legge di stabilità, il governo Renzi ha aumentato del 40% i fondi da destinare alla DGCS (da 297 nel 2015 a 418 milioni di euro nel 2016), facendo così registrare una prima inversione di tendenza dopo anni di vacche magre. Ma sarà soprattuto la legge 125 e la sua implementazione a determinare se sì oppure no l’Italia sarà all’altezza delle sfide che l’attendono in questo settore. A giusto titolo, Ciarlo parte da un principio sacrosanto: “per l’Italia, la cooperazione non è solo ‘parte integrante e qualificante della politica estera italiana’ (articolo 1 della legge 125) ma, di più, un suo compimento e quasi una nuova e più moderna forma di politica estera. E’ aiuto concreto e drammatico a uomini, donne e bambini che altrimenti vediamo morire sulle nostre coste, fuggendo da guerre e sottosviluppo. In questo senso, stabilizzare il Corno d’Africa, migliorare le condizioni delle donne in Mali, sostenere lo sviluppo in Africa occidentale è parte del nostro interesse nazionale”. In un’era dove le grandi strategie di politica estera si fanno sempre più all’Eliseo, Downing Street o Palazzo Chigi, dove la coerenza delle politiche implementate dai ministeri di uno Stato e che ricadono nelle prerogative di coordinamento di un capo di Stato o di governo, è determinante per il destino della cooperazione internazionale, quest’ultima “può costituire, assieme alla cultura e alla qualità delle nostre aziende, una delle risorse del nostro ‘soft power’”.

Sapevo che la riforma della governance della cooperazione italiana rappresentava un investimento essenziale per il nostro Paese, uno strumento chiave per la nostra politica estera, un sostegno importante per lo sviluppo, la stabilità, la sicurezza e la pace di tante aree del mondo

Federica Mogherini

I quattro pilastri della Legge 125

La nuova legge ha l’ambizione di modernizzare la cooperazione italiana. Come? Ciarlo evoca quattro pilastri. Il primo è la “coerenza delle politiche governative”, garantita dal Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS), “il luogo in cui a titolo di esempio dovranno trovare sintesi i contrasti tra gli impegni italiani sul clima e le preoccupazioni per i costi aggiuntivi di produzione che questi possono comportare per l’industria”. Il secondo pilastro è l’istituzione di un Viceministro alla Cooperazione “con una delega ampia e specifica sulla materia e che potrà sede al Consiglio dei Ministri, in caso si trattino questioni riguardanti la cooperazione”. A riguardo, la mancata sostituzione dell’ex Viceministro Pistelli (che ha lasciato il suo incarico nel luglio scorso) inizia a pesare seriamente in un periodo cruciale come quello attuale, che vede la legge in fase di implementazione. Il terzo pilastro identificato da Ciarlo è la definizione di “un sistema italiano della cooperazione” che, secondo lui, propone due innovazioni: il coinvolgimento di nuovi attori del non profit (Fondazioni, Onlus, Finanza etica, diaspore dei migranti etc.) e il settore privato; e farli interagire in modo coerente e sistemico. Infine, il quarto pilastro è incarnato dalla nuova Agenzia italiana per la Cooperazione, di cui lo stesso Ciarlo è candidato papabile per assumerne la guida. Un’Agenzia che, “sotto la vigilanza del MAECI, sarà dotata di una larga capacità di azione grazie a una personalità giuridica autonoma, un proprio bilancio ed una sua organizzazione”. Tutte capacità che dovrebbero consentirle di fungere da vero e proprio hub tra le istituzioni nazionali e locali, il mondo non profit e quello profit. Infine, non si può non evocare un’istituzione su cui Ciarlo ha sempre auspicato la nascita: una Banca italiana per lo sviluppo. La legge 125 ha assegnato questo ruolo alla Cassa Depositi e Prestiti, la cui operatività, l’attuale disponibilità di liquidità, il knowhow e la rete di alleanze nel mondo finanziario “possono consentire un salto avanti notevole per il nostro Paese, in un campo dal quale siamo stati sostanzialmente eslcusi negli ultimi decenni”. A patto però che il sistema di cooperazione italiana non perda mai di vista il fine ultimo della sua vocazione: ridurre le disuaglianze sociali nel Sud del mondo assieme, tra l'altro, ai paesi partners.

Tomorrowland, (a cura di) Emilio Ciarlo, Ebook, Edizioni Palinsesto, 4,50 euro

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