Cultura
Non solo sgambetti e calci
La foto del giornalista italiano che prende in braccio un bimbo sfinito dalla fatica sul confine tra Serbia e Ungheria sta facendo il giro della rete. Vito D'Ettorre, il collega che ha immortalato la scena e l'ha poi pubblicata su Fb è sorpreso: «Non avevo immaginato che per tutti sarebbe stata la risposta alle scene di cui si sono resi portagonisti i colleghi ungheresi. Non siamo qui per il gusto delle lacrime in primo piano»
Nelle scorse settimane quelle immagini avevano provocato un'ondata di indignazione. Ritraevano una report ungherese che, mentre filmava la corsa dei migranti in fuga sul confine tra Serbia e Ungheria, aveva cominciato a sgambettarli per farli cadere ammollando ad alcuni, tra i quali un bambino, anche qualche calcione.
Petra Lazlo, questo il nome della videoreporter della tv ungherese N1TV, è stata prontamente licenziata. Ma l'immagine dei giornalisti ha subito un duro colpo. Fino a quando Vito D'Ettorre, giornalista di Tv2000, inviato sul confine serbo-ungherese, ha postato sul suo profilo questa foto.
Lo scatto ritrae il suo collega Vincenzo Taranto che porta in braccio un bimbo. In poche ore la foto ha fatto il giro della rete con centinaia di condivisioni e commenti. Per tutti in qualche modo è stata la risposta a quei calci vigliacchi. Ne abbiamo parlato con Vito D'Ettorre che è ancora a Rozske e sta cercando di superare il confine ed entrare in Serbia.
Come è nato questo scatto?
Era una foto tra colleghi, come se ne fanno tante in trasferta. Avevamo appena finito di girare le immaghini del campo profughi di Rozske vicino al muro ungherese. Stavamo tornando al campo e abbiamo visto i profughi che seguono i binari. C'era questo bimbo che stava con il papà. Vincenzo vedendolo gli ha allungato una mano, spontaneamente. Il bimbo però invece di darlgi semplicemente la mano si è proprio aggrappata. Era sfinito. Così senza pensarci Vincenzo l'ha preso in braccio. Ho solo pensato che fosse una bella immagine e ho scattato. Poi abbiamo continuato a lavorare. Solo la sera mi sono ricordato della foto e gli ho detto di pubblicarla su Facebook, ma lui non ha voluto. Allora l'ho pubblicata io sul mio profilo.
Aveva pensato che in qualche modo potesse essere vista come una risposta al video dei calci della reporte ungherese?
Ci ho pensato dopo. Non avevo immaginato che potesse esserci questo link con la vicenda di quei colleghi ungheresi.
In qualche modo la foto è stata presa come una risposta a quelle immagini. Una foto che sembra dire che non tutto il giornalismo è, per usare Giorgio Gaber, «necrofilia con il gusto della lacrima in primo piano»…
Si è così. Se abbiamo raccontato storie forti è stato solo per far vedere che qui c'è gente vera, che soffre. Ieri ho parlato con un ragazzo di 20 anni che sta portando la nonna in sedia a rotelle in Germania. Poi un padre che si porta in spalla la ragazzina disabile per tutto il tragitto. Raccontiamo queste storie non per il gusto delle lacrime ma perché qui hanno fatto un muro alto tre metri. E non è contro mafiosi o terroristi. Dall'altra parte, dietro il filo spinato, ci sono bimbi e donne incinte. Il nostro lavoro è raccontare che non c'è nessuna invasione, ma solo la fuga di persone come noi, che hanno bisogno di aiuto.
Avete però anche raccontato storie belle su Tv2000…
Certo, alla stazione di Vienna ad esempio ho visto la Caritas gestire l'intera stazione. La polizia li guarda lavorare. E si vedono in giro un sacco di ragazze con il chador islamico e la pettorina della Caritas. Ragazzi musulmani che lavorano per una'associazione catolica. Ed è normale. Oppure, alla stazione principale di Vienna, c'è un'oasi di accoglienza gestita totalmente da comuni cittadini che hanno fatto rete e riescono a rispondere ad ogni esigenza in tempo reale. Mettono a disposizione cibo, servizi legali e servizi sanitari.
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