Welfare

Contrasto alla povertà, il Governo apre uno spiraglio per una misura ad hoc

Il Reddito minimo di inclusione sociale (Reis) sarà oggetto di discussione. Il sottosegretario della presidenza del Consiglio De Vincenti, a conclusione della presentazione del Rapporto Caritas, ha promesso un tavolo di confronto perchè, «la povertà assoluta in Italia ha smesso di crescere, ma non tornerà più ai livelli precedenti la crisi. Occore una strategia nuova ed efficace»

di Vittorio Sammarco

Hanno aperto un varco nell’ascolto del governo, le proposte dell’Alleanza contro la povertà per l’inserimento del Reis (reddito minimo di inclusione sociale), perché oggi il sottosegretario della presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, a conclusione della presentazione del secondo Rapporto Caritas 2015 dal titolo “Dopo la crisi, costruire il Welfare. Le politiche contro la povertà in Italia”, ha promesso di dar vita ad un tavolo di confronto su questa e su altre proposte in cantiere. Anche se non ha voluto impegnare l’esecutivo su cifre sulle quali – ha schiettamente affermato – “siamo molto lontani”. Non è facile trovare nella prossima Legge di Stabilità quegli 1,8 miliardi di euro, che il cartello di associazioni della società civile afferma possa essere il primo passo per un’efficace e strutturale programmazione della misura di lotta alla povertà (il Reis, appunto).

E a questo governo, ha anche replicato, non si può imputare di fare niente, o solo qualcosa. Che è proprio la cifra di giudizio che prima il direttore della Caritas, poi il responsabile scientifico del rapporto attribuiscono alle politiche sociali del governo Renzi, in sostanziale continuità con chi lo ha preceduto: no, dicono, “fare qualcosa non è meglio di niente”.

Il ragionamento parte dai dati e arriva ad una conclusione: la povertà assoluta in Italia ha smesso di crescere, d’accordo, ma non si tornerà più ai livelli precedenti alla crisi. Quindi occorre una strategia stabile, strutturale e continuativa per combattere efficacemente la povertà.

I dati. Le persone non in grado di “accedere all’insieme di beni e servizi che vengono considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile (definizione di povertà assoluta)” erano il 3,1 per cento della popolazione (1,8 milioni) quando l’economia mondiale stava per tracollare, nel 2007, sono il 6,8% (4,1) nel 2014 dopo aver toccato il picco del 7,4% nell’anno precedente. Quindi il doppio. Troppi. L’indigenza si è ora stabilizzata e ha anche assunto caratteristiche particolari e del tutto nuove: durante la crisi, il 10% della popolazione con minor reddito ha sperimentato una contrazione percentuale del proprio reddito (fino al -27%) di molto superiore a quella vissuta dal restante 90%; e poi la povertà colpisce tutti i gruppi sociali, non più solo famiglie numerose al Sud e con componenti disoccupati, ma famiglie con uno o due figli (non più quelle con tre figli) che vivono al Centro-Nord e che hanno comunque al loro interno qualcuno che lavora. Infine: riguarda sia anziani che giovani. Quindi occorre fare molto di più e meglio. Seguono analisi e proposte.

L’analisi. Il governo attuale, ha detto Cristiano Gori, responsabile scientifico del Rapporto, ha ereditato una situazione critica (es. taglio dei Fondi nazionali complessivi per le politiche sociali dai 3,170 milioni del 2008 finalmente riportati agli 1,233 del 2014) e sta attuando una politica riformatrice più incisiva dei predecessori. Guardando al contesto di partenza è quindi un giudizio positivo, ma con quali risultati? E quali sono ora le attese che si provocano? L’effetto congiunto delle misure adottate (bonus dipendenti, gli 80 euro; bonus bebè; Asdi, Assegno di disoccupazione) riesce a beneficiare solo il 22% delle famiglie in povertà, portando un aumento del reddito di appena il 5,7% e l’uscita dalla povertà assoluta di solo il 5,5% dei nuclei. Poco, molto poco.

Permane l’idea che non si vuole adottare strategicamente una lotta per ridurre o eliminare le anomalie tutte italiane. Che in sintesi sono:

* L’Italia, oltre la Grecia, è l’unico paese europeo dei principali 15 a non avere una misura nazionale mirata a sostenere l’intera popolazione in povertà assoluta (apprezzamento al movimento 5Stelle che ha fatto del reddito di cittadinanza un punto fondante del proprio programma);

* l’attuale sistema di interventi pubblici risulta del tutto inadeguato per grandezza di risorse economiche dedicate e per di più frammentato in una miriade di prestazioni non coordinate;

* la maggior parte dei finanziamenti è dedicata a prestazioni monetarie nazionali mentre i servizi alla persona, di titolarità dei Comuni, che poi coinvolgono il Terzo settore, sono sottofinanziati (con forte sperequazioni tra il Centro Italia, dove in media si spendono 22 euro a persona, 17 al Nord-Est, 13 al Nord-Ovest, fino a scendere ai 6 euro nei comuni del Sud);

* infine la distribuzione della spesa pubblica è decisamente sfavorevole ai poveri: l’Italia ha una percentuale di stanziamenti dedicati alla lotta alla povertà inferiore alla media dei Paesi area Euro, 0,1 rispetto allo 0,5; e in più al 10% della popolazione con minor reddito è destinato solo il 3% della nostra spesa sociale complessiva.

Quindi le proposte. “Non voglio essere iscritto al partito dei gufi se dico che le famiglie non usciranno automaticamente dalla povertà senza una politica decisa di contrasto”, ha quindi sostenuto con forza don Francesco Soddu, direttore della Caritas Italiana. “C’è bisogno di politiche mirate e organiche, di una misura strutturale che sappia tenere insieme le risorse e i percorsi di accompagnamento e formazione, che sia in grado di fare uscire le persone dalla condizione di povertà”. “Interventi temporanei non sono una risposta, ma una misura tampone”. “Occorre definire percorsi chiari, fissare scadenze, individuare risorse”, ha aggiunto Gori, anche a partire dalla prossima Legge di Stabilità.

Per questo la Caritas lancia tre messaggi al Governo:

Primo: lavoriamo sul Reis, è in pista da un anno, ottenendo notevoli riscontri (anche da esponenti del governo (come Morando e Poletti, oltre che dal dibattito pubblico che si è creato), e per due motivi: ci vuole una misura per tutti i poveri; tenendo conto che politica contro la povertà è diversa da una politica specifica per chi sta cadendo in povertà.

Secondo: costruire un piano nazionale, vogliamo una misura che sia un contributo economico, e percorsi d’inserimento sociale costruito sui comuni. Un Piano graduale con quattro annualità d’investimenti, e la costruzione di una rete adeguata d’infrastruttura per il welfare, dando tempo e certezze a chi ci lavora.

Terzo: oggi quello che qualifica una riforma sono gli strumenti attuativi sul territorio. Un maggior ruolo dello Stato deve essere accompagnato dalla valorizzazione dei territori. Sono due facce della stessa medaglia.

Il governo raccoglie, precisa De Vincenti, a patto che non si dica (come è stato detto) che c’è una precisa scelta di lasciar fuori il 10% più povero perché si preferisce prima dar fiato e risorse a quelli che, collocandosi in una fascia meno critica (ma comunque a rischio), può dar vita al sostegno della ripresa economica in atto. Questo il sottosegretario lo contesta in modo netto e rilancia: incontriamoci, e parliamo del Reis e delle altre misure.

Il Rapporto in versione completa è scaricabile in allegato

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