Cultura

Una scuola senza voti? In Italia esiste già

Domani a San Marino si tiene il convegno della "Scuola del Gratuito", una proposta pedagogica nata in seno alla Comunità Papa Giovanni XXIII per superare una scuola incentrata sulla logica del profitto. Il cardine? Persone al centro, metodo cooperativo e al posto dei voti una lettera ai ragazzi

di Sara De Carli

È il sogno di ogni alunno: una scuola senza voti. Esiste davvero, si chiama “scuola del gratuito” ed è una proposta pedagogica che viene dalla Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Domani e domenica, a San Marino, si terrà il loro secondo convegno, dopo il lancio della proposta nel 2013. «Tutto parte dal costruire con gli alunni una relazione positiva, esiste dialogo più profondo, una collaborazione, una voglia di fare cose insieme. Il voto in questo contesto acquista un valore secondario perché è chiaro a tutti che il bambino non viene a scuola per un voto ma per il gusto di imparare», racconta Lucia Bolcato, che per la Papa Giovanni XXIII è animatore generale del servizio scuola insieme a Luca Casadei. Attenzione però a facili entusiasmi da “paese dei balocchi”: «Un aspetto caratteristico è l’assenza di voto, che non significa assenza di valutazione. La valutazione anzi è ancora più approfondita. Diciamo che a noi non interessa il profitto come risultato di una performance, diamo attenzione più alla persone che al risultato che essa produce».

L'assenza di voto non significa assenza di valutazione. La valutazione anzi è ancora più approfondita. Diciamo che a noi non interessa il profitto come risultato di una performance, diamo attenzione più alla persona che al risultato che essa produce

Lucia Bolcato

Le radici della scuola del gratuito affondano molto indietro nel tempo, addirittura al 1995. Il suo Manifesto fu presentato nel 1998 e appena venuto alla luce subito un gruppo di lavoro lo riprese in mano per dargli la concretezza necessaria per portarlo in aula, elaborando quegli “Approfondimenti e indicazioni” che dal 2003 ne sono parte integrante. Il punto di partenza è la voglia di progettare una società basata su «meccanismi alternativi al profitto, al mercato e al consumismo, una società che abbia al centro le relazioni fra gli uomini»: un cambiamento di cui la scuola è un tassello importante. Il "profitto" è la ragione fondamentale che muove gli alunni allo studio: prendere un bel voto per poi magari avere un premio dai genitori, con la valutazione che funziona come generatore di competizione e valorizzazione. Nella scuola del gratuito invece si riscoprono le singole personalità, gli allievi in situazioni di difficoltà costituiscono una risorsa, si realizza una piena integrazione, non c’è un programma da finire ad ogni costo, la famiglia «non è cliente della scuola ma sua stretta collaboratrice nell’educazione».


Lucia insegna in una scuola primaria pubblica di Rimini e questo metodo lo sta sperimentando già da 4 anni con la sua classe. «Il voto in sé per il bambino significa poco e spesso non lo capiscono: non so quante volte ho sentito i miei figli dire “ho risposto a tutto, mi ha dato solo sette”. I miei alunni sono abituati a fare autovalutazione, si accorgono del loro errore e sono in grado di correggerlo. Nessuno si sente sminuito né etichettato da un numero, tutti sono protagonisti del loro apprendimento. Non c’è competizione, nemmeno fra i genitori, ognuno emerge per quello che è», racconta Lucia. Chi è in difficoltà non si sente diverso, in classe i bambini lavorano sempre in gruppo, ogni settimana si cambia, e il gruppo fa da tutoring per chi ha difficoltà. Ciascuno così riesce ad emergere per le proprie possibilità. La parola “verifica” a lei non piace, preferisce usare “prova” o “compito”. Dal giorno in cui Marco, subito dopo un compito, disse a voce alta “Aiuto, ho fatto un macello!”, la sua classe fa abitualmente autovalutazione: «Chiesi a Marco cosa era successo, lui disse “Non ho capito, mi sono distratto tanto, forse in fondo non avevo voglia di fare questa prova” da lì siamo partiti. Ora al termine di ogni prova ognuno scrive subito una frase di autovalutazione». A fine anno il voto in pagella la maestra Lucia lo mette, ma è più che altro per il Ministero e per i genitori. A ogni bambino lei scrive una lunga lettera in cui spiega, con un linguaggio semplice, i risultati che sono stati raggiunti e le cose in cui si può ancora migliorare: «i bambini le adorano».

Nessuno si sente sminuito né etichettato da un numero, tutti sono protagonisti del loro apprendimento. Non c’è competizione, nemmeno fra i genitori, ognuno emerge per quello che è

Lucia Bolcato

Le esperienze per il momento sono poche. Alcune verranno presentate domani a San marino. Oltre a quella di Lucia c’è la “storica” esperienza di Ferdinando Ciani, che insegna matematica e scienze in una scuola secondaria di primo grado di Pesaro e che nel 2013 ha scritto il libro “La scuola del gratuito”. Due professoresse ci hanno provato in una scuola secondaria di primo grado di Vercelli. A Orzinuovi, in provincia di Brescia, è stato il dirigente dell’istituto comprensivo paritario S. Paola Elisabetta Cerioli a volerlo sperimentare. «Vediamo un grande interesse, basti considerare i numeri delle visite sulla nostra pagina fb o sul blog, o i 190 iscritti al convegno di domani. In tanti lo sognano, a metterlo in partica effettivamente sono in pochi o forse lo fanno e noi non lo sappiamo», riflette Lucia.

Certo una scuola così è una sconcertante novità, anche per i genitori. Quelli di Orzinuovi, sul sito, hanno voluto lasciare una testimonianza estremamente positiva, che si chiude però con un dubbio: «La vita comunque ti sbatte in faccia giudizi, critiche, competizioni. Dei figli cresciuti senza voti, non saranno impreparati alla vita vera?». Lucia sorride, «è la domanda che mi fanno sempre. Io rispondo dicendo che questi ragazzi saranno molto più responsabili di se stessi perché hanno capito su cosa si basa la valutazione. Di fronte a un 5, a un insuccesso, a una frustrazione non diranno “povero me, non so fare niente”, ma sapranno riconoscere il problema, diranno “non ho capito” oppure “non mi sono impegnato”. Sapranno farlo perché li abbiamo abituati». Abituati aessere consapevoli del loro valore, a prescindere da un numero su un registro.

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