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Messico, il dramma dei “desplazados”

Viaggio in una nazione ostaggio dei narcotrafficanti, dove oltre un milione e mezzo di persone sono state obbligate ad abbandonare le loro terre e più di 30mila sono state fatte sparire con la “complicità” dello Stato

di Carla Foppa

Il Messico non è un Paese in guerra, ma in Messico si muore come in un Paese in guerra. Conseguenza diretta della guerra contro il narcotraffico e la militarizzazione del territorio, decisa nel 2006 dal presidente Felipe Calderón, è stata l’esplosione dei livelli di violenza. In primo piano: il “desplazamiento forzado” e le “desapariciones forzadas”. Seguendo queste due “rotte” una giornalista italiana ha realizzato un drammatico reportage per Vita. Per ragioni di sicurezza si firma con uno pseudonimo.

Rotta 1. Nord-est: da Guerrero a Tamaulipas. “Desplazamiento forzado”

In Messico le persone fuggono, dalle zone rurali alle grandi città, in mezzo alla disintegrazione di una qualsiasi struttura che possa ancora ricordare il senso di cittadinanza. Quando le persone fuggono, a rimanere sono villaggi fantasma. Nella Sierra di Guerrero ci sono alberi immensi, coltivazioni color caffé e i gatilleros. Gatilleros: bassa manovalanza che serve ai narcos per preparare il terreno e procedere all’occupazione di campi e manodopera da schiavizzare. La loro capacità operativa è efficace e immediata: arrivano e incendiano case, sequestrano e ammazzano, neutralizzano l’economia di cui quei luoghi si nutrono e creano un regime di libero transito per traffici illegali e tratta di esseri umani.

«Quando arrivano siamo intrappolati nella falsa domanda: vado o resto?». Juan R. ha 30 anni e non è mai andato da nessun altra parte che non fosse ogni angolo di questa Sierra. Restare significa cedere le proprie terre e le proprie vite ai narcos, lavorare per loro, trasformare le coltivazioni millenarie di quei luoghi in piante di coca.

Vado o resto? Il terrore risponde, facendo scomparire interi villaggi, svuotandoli in un solo giorno. Si chiama desplazamiento forzado. Tlacotepec è uno dei pochi municipi ancora in piedi. Tutti lo sanno, tutti lo vivono, ma nessuno lo dice: i narcotrafficanti stanno controllando l’intero stato di Guerrero. Tutto è incerto, tutto è in pericolo ma di una sola cosa si è sicuri: «la militarizzazione del territorio non servirà a nulla». Dall’alto di una collina, gli alberi come paravento, si vedono i campi sterminati e le persone che ci lavorano. «Guarda», indica Juan, «non fotografare e andiamo». Nelle parole non dette lasciamo tutta la storia. Nello sguardo interrotto verso una terra che non si può più neanche fotografare, lasciamo tutto il senso di vincoli comunitari in frantumi quando ti tolgono: «La tua casa da sotto i piedi».

Il resto su Vita Magazine di settembre

Foto di Mauro Pagnano

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