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Aiutiamoli a casa loro: la lezione del Rwanda

L'aiuto nei Paesi di provenienza dei migranti, lungi dall’essere un abusato e strumentale slogan propagandistico, può rivelarsi nei fatti anche un’efficace politica, a patto che la solidarietà venga declinata con lo sussidiarietà per cessare di essere mera assistenza e diventare fattore di sviluppo

di Redazione

“Aiutiamoli a casa loro”, lungi dall’essere un abusato e strumentale slogan propagandistico, può rivelarsi nei fatti anche un’efficace politica, a patto che la solidarietà venga declinata con lo sussidiarietà per cessare di essere mera assistenza e diventare fattore di sviluppo. Una politica che risponde innanzitutto a un principio di equità e secondariamente a un efficace utilizzo delle scarse risorse finanziarie disponibili.

È, infatti, equo ricordarci oltre che delle decine di migliaia di migranti economici ( che per correttezza sarebbe bene distinguere dalla minoranza degli aventi diritto alle forme di protezione internazionale) anche delle centinaia di milioni di africani, totalmente assenti da ogni dibattito sul fenomeno migratorio, che rimangono nei rispettivi paesi e lì vogliono costruirsi un futuro dignitoso.

È altresì corretto chiedersi quale sia il miglior utilizzo delle ingenti risorse finanziarie che vengono comunque stanziate per far fronte ai flussi migratori, tenuto conto del ben diverso valore di un euro in termini di merci e servizi acquistabili a secondo che lo stesso sia speso da noi, piuttosto che in Africa. Che non si sia in presenza solo di un vuoto slogan propagandistico lo dimostra l’applicazione concreta ed efficace che se ne fa in quell’Africa in sedicesimo che è il Rwanda, dove il fenomeno migratorio è praticamente sconosciuto; almeno quello dei migranti che salgono sui barconi. Anzi, il Rwanda si concede il lusso di accogliere da Israele, dietro erogazione di aiuti economici, profughi africani presenti nei campi di accoglienza israeliani, di cui lo stato ebraico cura il rimpatrio. Ospita inoltre sul proprio territorio quasi 75.000 profughi congolesi, distribuiti in cinque campi, alcuni dei quali attivi dal lontano 1996, ben attrezzati e gestiti dall’ UNHCR che qui svolge efficacemente, diversamente che da noi dove sembra presente solo nei talk show, il proprio lavoro istituzionale, a cui si sono aggiunti in queste ultime settimane oltre 20.000 profughi burundesi prontamente ospitati in un campo dell’ UNHCR allestito in un paio di giorni.

Vediamo come l’aiutiamoli a casa loro si è reso possibile.
Il Rwanda, un paese di dodici milioni di abitanti tra i meglio organizzati del continente africano, ha un bilancio complessivo di 2,235 miliardi di euro di cui 751 milioni di euro provenienti da fondi esteri ( in prevalenza da Usa-Cina-Paesi europei), pari al 34 per cento del bilancio totale, percentuale che si è però dimezzata negli ultimi dodici anni e che con l'attuale trend potrebbe presto portare a una qualche forma di autosufficienza di bilancio. Per dare un'idea della portata delle cifre di cui stiamo parlando, rapportandole alla nostra realtà italiana, va sottolineato che il governo rwandese provvede all’istruzione di base, alla sicurezza alimentare, alla salute e alla pace e alla sicurezza con 853 milioni di euro: 132 milioni in meno dei 985 milioni di euro che costerà la nostra Camera dei deputati nel 2015. E ancora, con 268 milioni di euro fa funzionare tutto l’apparato centrale e periferico dello stato, quando il bilancio di previsione 2015 della nostra sola presidenza della repubblica, il Quirinale, è di 224 milioni di euro. L’efficace gestione delle risorse disponibile è stato riconosciuto proprio in questi giorni dal report sull'efficienza dei governi nel 2014 stilato dal World Economic Forum, una speciale classifica che pone in relazione i risultati raggiunti dai singoli governi con le risorse impiegate, che attribuisce al governo del Rwanda un prestigioso settimo posto a livello mondiale (a fronte di un’Italia relegata al penultimo posto). Viene riconosciuto al governo rwandese soprattutto il basso livello di spreco nella spesa pubblica; in ultima analisi si dice che il Rwanda sa fare un ottimo utilizzo delle risorse proprie e di quelle ricevute dai donatori internazionali.

In seconda istanza, va detto che l’attuale governance rwandese è riuscita a costruire, dopo la tragedia del 1994, un modello sociale, fatto di istituzioni, regole, norme e organizzazione, cui si aggiunge il perseguimento di una forte identità nazionale, che ha creato le condizioni e ancor più le prospettive per cui un cittadino rwandese valuti la possibilità di scommettere sul proprio paese, non lasciandosi attrarre dalle sirene dei paesi occidentali. Di più, per favorire il rientro nel paese d’origine dei componenti della diaspora rwandese nel mondo per aiutare lo sviluppo dell’economia e delle istituzioni del paese, le autorità rwandesi hanno lanciato il programma “come and see” (vieni e vedi) che ha portato numerosi rwandesi a rientrare a casa, attratti dal successo del modello. Ugualmente applicate sono le politiche migratorie che riguardano gli studenti inviati nelle università estere per creare il futuro ceto dirigente del paese che si concretizza in Rwanda con l’invio negli Usa, in Cina e in India dei giovani più promettenti.

Ecco, da ultimo, qualche esempio per dare un’idea della potenzialità che hanno gli aiuti internazionali, provenienti da governi ma anche da tante Ong e piccole associazioni, e conoscere la diversa efficacia di un euro speso da noi, piuttosto che sul posto. L’Associazione Kwizera con poco più di diecimila euro ha costruito un asilo con tre aule, dove 150 bambini vengono assistiti da tre insegnanti ad ognuna delle quali viene assicurato uno stipendio mensile di circa 30 euro, dignitoso per la realtà locale: meno dei 35 euro che il governo spende ogni giorno per l’accoglienza di un migrante economico. Sul tavolo abbiamo alcuni progetti presentati da parrocchie locali per avere un prestito di circa 3.500 euro cadauno per dar vita a diverse iniziative: un negozio, la costituzione di due stalle con tre mucche da latte cadauna, una coltivazione di sementi. Ogni progetto prevede un lavorante stipendiato tutto l’anno a 20/25 euro al mese, il salario medio di un operaio nelle campagne. Con un semplice prestito, che si prevede debba essere restituito, pari al costo di meno di quattro mesi di soggiorno di un migrante economico, in Rwanda, ma anche in tanti paesi subsahariana, si crea un posto di lavoro.
In conclusione, la lezione che ci viene dal Rwanda dovrebbe muovere una qualche riflessione: certo non tutti i paesi africani hanno raggiunto il livello di governance del Rwanda, ma se il Rwanda, che è pur sempre un paese africano, c'è riuscito perchè non dovrebbero riuscirci gli altri? Perchè non dovremmo aiutarli in questo percorso?

dal Blog Alberwandesi

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