Mondo

TTIP, porte sempre aperte per le lobby

Sono i gruppi di interesse privato i veri vincitori nelle fasi delle trattative sul partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti tra Usa e Ue. Da gennaio 2012 al febbraio 2014, la Direzione Generale della Trade Commission ha fatto 528 riunioni, di cui l’88% con lobbisti aziendali.

di Martino Pillitteri

Le grandi aziende nel settore farmaceutico e le industrie finanziarie hanno drasticamente aumentato i loro sforzi di lobbying a sostegno del (TTIP), il Transatlantic Trade and Investment Partnership. Lo rivela una ricerca condotta dalla Corporate Europe Observatory, un'organizzazione globale impegnata nella difesa dei consumatori con sede e Bruxelles. Secondo la ricerca, tra il 2012-2013 il settore farmaceutico ha quadruplicato l’azione di lobbying a Bruxelles; nello stesso periodo anche il settore finanziario e quello dei macchinari e delle apparecchiature hanno significativamente intensificato le loro attività.

Corporate Europe sostiene che dall’insediamento del Commissario al Commercio (Trade Commissioner) Cecilia Malmström nel novembre 2014, la Commissione Europea è sempre ricettiva nei confronti delle richieste dei rappresentanti del settore privato. I numeri inchiodano la commissaria: secondo la ricerca, nei suoi primi sei mesi di mandato, Cecilia Malmström, i membri del suo gabinetto e il suo direttore generale hanno avuto 121 lobby meeting nei quali il TTIP era in agenda. 100 (83%) di questi incontri sono stati con i lobbisti aziendali e 21 (16,7%) con i gruppi di interesse pubblico.

E prima della Malmström ? Nelle prime fasi delle trattative sul TTIP ( da gennaio 2012 al febbraio 2014 ), la direzione generale della Trade Commission ha avuto 597 incontri a porte chiuse con lobbisti. In agenda c’era sempre il TTIP. 528 di queste riunioni (88%) sono state con lobbisti aziendali mentre solo 53 (9 % ) sono state fatte con gruppi di interesse pubblico. Tradotto: per ogni incontro con un sindacato o un gruppo di consumatori, ci sono stati 10 incontri con le aziende e le associazioni degli industriali.

Le lobby che hanno fatto pressione nelle prime fasi dei negoziati sul TTIP sono state BusinessEurope, l' ACEA (la lobby automobilistica europea), la lobby chimica CEFIC , l’European Services Forum, l'EFPIA, Food Drink Europe, la Camera di commercio statunitense e Digital Europe di cui fanno parte tutti i nomi i grandi nome come Apple, Blackberry, IBM e Microsoft.

I settori che hanno fatto pressioni a favore del TTIP nelle prime fasi dei negoziati sono quelli dell’ agroalimentare e dei prodotti alimentari, quelli che rappresentano gruppi di pressione intersettoriali come BusinessEurope, telecomunicazioni e IT, prodotti farmaceutici, finanza, ingegneria e macchinari, automobili, tecnologie sanitarie e prodotti chimici.

Sapessi come non è strano far il lobbysta a Bruxelles

Bruxelles è una calamita per i lobbisti. Secondo le ultime stime di Corporate Europe Observatory, sono tra i 20.000 e i 30.000 i professionisti che lavorano in rappresentanza degli interessi di aziende, di settori industriali, per gruppi della società civile, sindacati etc. La maggioranza lavora per gli interessi di grandi aziende. Bruxelles è la seconda città dopo Washington con più lobbisti al mondo. Sono invece 1800 i lobbying group accreditati al Parlamento Europeo, e sono 4000 i lobbisti che hanno un badge con il quale poter entrare nel Parlamento.

Secondo alcune stime, il lavoro dei lobbisti è in grado di influenzare il 75 % degli esiti delle legislazioni. In linea di principio, i lobbisti danno ai politici le informazioni e gli argomenti nel corso del processo decisionale.
I lobbisti a Bruxelles sono tendenzialmente ex dipendenti delle istituzioni europei. Sono professionisti in grado di avere accesso e di lavorare con i loro vecchi colleghi che lavorano ancora alla Commissione, al Parlamento, e al Consiglio.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.