Mondo
Srebrenica: i sopravvissuti ricordano
A vent’anni dall’atrocità più grave commessa in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale, le testimonianze di chi è sopravvissuto, per tenere viva la memoria
di Redazione
L’atrocità peggiore commessa in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale. E’ passata alla storia per questo Srebrenica e, a vent’anni di distanza non si può che ricordare la tragedia degli 8mila uomini e ragazzi musulmani bosniaci, trucidati dalle truppe serbo-bosniache come la vergogna più grande per le Nazioni Unite incapaci di proteggere migliaia di civili, in quella che era stata dichiarata zona protetta dall’Onu.
“Non gli importava nulla del fatto che fossimo disarmati. La loro preoccupazione principale era che fossimo musulmani e ci volevano morti.” E’ questa la testimonianza di Hasan Hasanovic, raccolta da Remembering Srebrenica, l’organizzazione britannica costituita proprio per ricordare chi, nel massacro ha perso la vita, e chi è stato costretto a sopravvivere, con ciò che ha visto. “Era tarda notte quando ho sentito che gli uomini stavano pianificando la fuga. Per tutta la giornata le truppe delle Nazioni Unite avevano continuato a ripetere che stavano arrivando aiuti, ma non succedeva niente.” E’ stato allora che Hasanovic, insieme al padre e al fratello gemello decise di unirsi alla sterminata fila di uomini in fuga nei boschi. “Non riuscivo a pensare a nulla, se non andare avanti. Avanti verso la sopravvivenza, andare avanti era tutto. Ho continuato ad andare con tutte le mie forze, arrivando in capo alla marea di uomini, fino a quando non ho visto il bosco e mi sono reso conto che avevo perso mio fratello, mio padre e mio zio. Per quanto avrei voluto fermarmi a cercarli so, che se l’avessi fatto, sarei stato ucciso. Mi sono detto che, se avessi voluto vivere avrei dovuto correre, senza guardarmi indietro.” Quel giorno di luglio di vent’anni fa, Hasanovic ha perso la sua famiglia.
“L’11 luglio del 1995 il mio mondo è cambiato per sempre.” Ha raccontato a Remembering Srebrenica, Saliha Osmanovic. “Cinque giorni prima, il 6 luglio avevo seppellito il mio figlio più giovane, Edin. Era stato ucciso da una granata dei serbo-bosniaci, mentre le loro truppe avanzavano nella zona protetta dell’Onu. Quando ho seppellito Edin, quella calda giornata d’estate, pensavo che le cose non potessero andare peggio di così. Ma meno di una settimana dopo, ho perso il resto della mia famiglia, mio marito Ramo e mio figlio Nermin sono stati catturati e uccisi, mentre scappavano verso Tuzla. Ho aspettato che mio figlio e mio marito tornassero, in un campo rifugiati, insieme a migliaia di altre donne. Ma loro non sono più tornati.”
Saliha Osmanovic è tra le migliaia di donne che hanno perso qualcuno a Srebrenica.
“Ero la più piccola della mia famiglia, avevo una fratello che aveva 16 anni quando la guerra è iniziata. Purtroppo però a Srebrenica i bambini, facevano fatica ad essere bambini, non potevamo correre e giocare per strada, per il pericolo di essere colpiti da una mina.” Ricorda Nira Efendic, “Mio padre e mio fratello erano scappati per unirsi alla Colonia, ma non riuscirono a unirsi agli uomini che erano già partiti. Mi hanno detto che sono stati catturati dai militari serbi, sulle colline (…) Credo che per qualsiasi bambini di Srebrenica, l’infanzia abbia il ricordo offuscato, di un sogno dimenticato.”
Una tragedia per l’Europa e una vergogna per le Nazioni Unite, incapaci di tenere fede alla promessa di protezione, di far fronte all’emergenza. Hasan Nuhanovic era l’interprete del battaglione olandese delle Nazioni Unite, incaricato di difendere la zona. “Mi diedero un microfono e mi dissero di tradurre. Mi dissero che dovevo dire a tutti i rifugiati che dovevano abbandonare la base, in gruppi di cinque.” Nuhanovic era presente nella base Onu quando le forze serbo bosniache entrarono a Srebrenica e ordinarono di espellere 5mila civili innocenti. Tra questi vi erano anche i suoi genitori e suo fratello, arrivati per cercare rifugio. Tutti e tre i famigliari di Nuhanovic morirono a Srebrenica. Da allora Hasan Nuhanovic ha dedicato la propria vita a tenere viva la memoria di ciò che è accaduto e di chi non c’è più.
Foto: ELVIS BARUKCIC/AFP/Getty Images)
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