Welfare
Stop agli aiuti monetari, puntiamo sui servizi
In tre anni sono raddoppiati in Italia i minori in povertà assoluta. Un altro 28% è a rischio povertà. La colpa - dice la Fondazione Zancan - è anche della "schizofrenia istituzionale" con cui il problema è stato affrontato
Fra il 2011 e il 2013 i minori italiani in «povertà assoluta» sono raddoppiati, passando da 723mila a 1 milione 434mila (dati Istat). Ciò significa che nel 2013 un minore su sette era in povertà assoluta. A questo dato si aggiunge il fatto che il 27,9% dei bambini italiani fino a 6 anni, nel 2013, era a rischio di povertà o esclusione sociale.
Di povertà infantile si è parlato ieri a Brescia nell’ambito del convegno “Povertà minorile. I figli della crisi e il diritto al futuro”, cui ha partecipato anche la Fondazione Zancan. Il direttore della Fondazione, Tiziano Vecchiato, ha messo l’accento sulla – parole sue – «schizofrenia istituzionale» nell’affrontare il problema: «Da un lato una produzione di dichiarazioni a sostegno della centralità dell’infanzia e dell’adolescenza e dall’altro politiche poco attente al popolo invisibile dei bambini e dei ragazzi, che così vedono sacrificata la loro speranza di vita. I dati ci mettono di fronte a una sconfitta che è di tutti».
Il problema nel problema, dice Vecchiato, è la scarsa efficacia che in Italia hanno gli interventi che vorrebbero contrastare la povertà minorile. Come intervenire? L’Italia ha puntato tradizionalmente su trasferimenti monetari, che però sono inefficaci nella lotta alla povertà infantile: «L’impatto è di gran lunga inferiore rispetto a quello medio europeo: -6,7 contro -14,2 punti percentuali. Se i trasferimenti hanno un’efficacia molto limitata, i servizi per l’infanzia sono invece molto più capaci di ridurre povertà e disuguaglianze: purtroppo però per ora sono rivolti a un numero troppo limitato di bambini, soprattutto per la fascia 0-3 anni. Un futuro migliore per i bambini poveri è ancora tutto da costruire e con scelte inedite e coraggiose».
Cioè? Per Vecchiato si tratta di «abbandonare gli approcci assistenziali basati su politiche passive. Le politiche devono invece essere finalizzate al coinvolgimento e alla responsabilizzazione delle persone, con strategie di aiuto condizionato all’impegno dei genitori nei confronti dei figli e una più diretta responsabilizzazione dei destinatari di risposte di welfare».
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