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Nessun colpevole per i 4 bambini uccisi sulla spiaggia di Gaza
La commissione d'indagine dell'esercito israeliano giudica impossibile procedere contro chi ha ordinato l'attacco del luglio 2014 "perché non si poteva capire che, anziché miliziani di Hamas, si trattava di minori". Nel frattempo si aprono altre inchieste dopo le confessioni dei soldati all'ong Breaking the silence sugli attacchi indiscriminati dei commilitoni durante l'operazione Margine protettivo nella Striscia
Nessuna responsabilità, secondo il tribunale militare israeliano: “I soldati pensavano fossero miliziani di Hamas, non potevano vedere che invece erano bambini che giocavano sulla spiaggia”. Era il 16 luglio 2014, in piena offensiva dell’esercito israeliano contro la Striscia di Gaza: quattro bambini della famiglia Bahar – Mohammed, 11 anni, Aed 10 anni, Zacharia 10 anni, Ismail 9 anni – persero la vita in un bombardamento che mirava a un capannone in riva al mare “base operativa delle forze navali terroristiche”. Bambini che stavano giocando nei pressi di quel capannone, e mentre uno di loro fu colpito nel primo lancio dentro la struttura, gli altri tre vennero centrati con un secondo missile mentre tentavano la fuga. L’episodio rimane ancora oggi nella memoria collettiva perché fu uno uno dei più crudi dell’operazione militare Margine Protettivo (gli stessi giornalisti esteri, tra cui alcuni italiani, accorsero ad aiutare i soccorsi dato che il loro hotel era a poche centinaia di metri dall'accaduto), in una Striscia colma di civili che persero la vita in quelle settimane.
“Chiuderemo l’investigazione interna sulle eventuali condotte criminali di chi ha ordinato l’attacco, perché fu un errore”, ha annunciato l'Idf, Israeli defence forces, secondo quanto riporta il quotidiano Haaretz. Nessuno sarà incriminato, perché “dopo giorni di verifiche era certo che fosse una base di Hamas e quindi i soldati avevano tutte le autorizzazioni necessarie per attaccare, e non potevano scorgere dal posto in cui si trovavano che le figure individuate erano bambini e non miliziani”. Nessun sospetto di crimine, quindi, nessun colpevole per quelle vittime innocenti.
L’azione investigativa israeliana fa parte di una serie di approfondimenti portati avanti dall’esercito per “eventi inusuali durante l’operazione militare”, e si basa su prove e testimonianze raccolte da più parti, compresi in alcuni casi gli stessi militari israeliani, alcuni dei quali (almeno una trentina) hanno raccontato le situazioni estreme a cui hanno partecipato contro civili all’ong israeliana Breaking the silence, che poi ha pubblicato tali testimonianze. In tre casi, l’Idf ha acconsentito nei giorni scorsi l’apertura di indagini volte ad accertare condotte criminali. “Un mio commilitone, arrabbiato per la morte di un soldato del proprio reparto, ha ordinato per vendetta di colpire una casa di Gaza a caso tra quelle più lontane da dove eravamo, in cui era più alta la probabilità di colpire il maggior numero di civili”, è uno dei terribili racconti raccolti dall’ong e ora al vaglio delle autorità militari israeliane. In un'altra occasione un luogotenente “era dispiaciuto di non potere assistere in patria al funerale del commilitone ucciso da Hamas e quindi ha ordinato di bombardare la zona dove era caduto proprio alla stessa ora del funerale”. Ogni testimonianza a Breaking the silence ha nomi e cognomi delle persone coinvolte, raccolti dall’esercito per avviare le proprie indagini.
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