Formazione

L’arte pubblica sfonda al Turner Prize

È il premio più trendy e più seguito dal mercato. Quest’anno a sorpresa tra i quattro finalisti ci sono gli Assemble, collettivo di 18 under 30 , grazie ad un progetto che ha rigenerato uno dei quartieri più degradati di Liverpool

di Cristina Barbetta

Per la prima volta un collettivo di giovani designer e laureati in architettura è tra i finalisti del prestigioso Turner Prize, il premio più importante e “trendy” per l’arte contemporanea in Gran Bretagna.

Si chiamano Assemble, sono 18 artisti, tutti sotto ai 30 anni , e operano a Londra dal 2010.
Il lavoro per cui hanno ottenuto la nomina al premio è un progetto di riqualificazione urbana (chiamato Granby Four Streets ), che stanno realizzando con la collaborazione degli abitanti della zona, all’interno del quartiere residenziale degradato di Toxteth, a Liverpool.
In seguito alle violente rivolte che hanno sconvolto Toxteth nel 1981, il quartiere è diventato luogo di degrado ed è stato in gran parte abbandonato. Per 20 anni gli abitanti hanno combattuto una dura battaglia per salvare le case dalle demolizione. Quattro anni fa hanno deciso di creare un community land trust e hanno chiesto ad Assemble di riqualificare l’area.

Come ha commentato Alistair Hudson, Direttore del Middlesbrough Institute of Modern Art e uno dei giudici del Turner Prize: «In un’epoca in cui qualunque cosa può essere arte, perché non un quartiere residenziale?». E prosegue: «Questi sono artisti che lavorano in circostanze molto specifiche, per fare sì che qualcosa cambi» . Perché l’arte è fattore di cambiamento sociale.

E questo è proprio il tema del servizio di copertina dell’ultimo numero di Vita, dedicato al potere trasformativo dell’arte, all’arte pubblica che cambia il mondo. Vita ha quindi colto nel segno. L’arte pubblica è un fenomeno di grande attualità. E fa notizia. Non a caso tutti i media che hanno scritto dei finalisti del Turner Prize si sono focalizzati sull’esperienza del collettivo londinese e sull’assoluta novità della loro nomina.

L’originalità del lavoro di Assemble risiede nel fatto che realizza progetti che sono il risultato di processi collaborativi, che coinvolgono attivamente il pubblico. Ascoltandone le esigenze e traducendole in realtà.
Il primo progetto di Assemble è del 2010: è il Cineroleum, un cinema temporaneo ideato a Londra in una stazione di servizio abbandonata. Tra gli altri progetti del collettivo ci sono una struttura teatrale temporanea, un parco giochi a Glasgow che dà spazio alla creatività dei bambini, uno spazio di lavoro collaborativo per artisti e designer a Londra ricoperto esternamente da piastrelle colorate fatte a mano. L’anno scorso Assemble ha vinto una gara di 2 milioni di sterline per costruire una nuova galleria d’arte per il Goldsmiths College, università londinese specializzata, tra l’altro, nell’insegnamento delle arti.

Ora sono in gara per il Turner Prize. Il vincitore sarà annunciato nel corso di una cerimonia che si terrà per la prima volta in Scozia, a Glasgow, il 7 dicembre 2015. Gli altri tre artisti finalisti sono tre donne, che vivono e lavorano tutte a Londra: Bonnie Camplin, Janice Kerbel e Nicole Wermers.
Il Turner Prize, creato nel 1984 in memoria del pittore J. M. W. Turner, è conferito dalla Tate Gallery ogni anno a un artista britannico al di sotto dei 50 anni per «aiutare a portare la discussione pubblica verso le nuove arti», come spiega il direttore della Tate all’epoca della creazione del premio, «nello stesso modo in cui il Booker Prize ha aiutato il romanzo». Negli anni passati il Turner Prize ha laureato artisti che sono poi diventate star del mercato, da Damien Hirst a Rachel Whiteread. Anche per questo la nomination degli Assemble suona come una sorpresa: nessun miliardario potrà mai comperarli…

Foto di apertura: Assemble Group Photo 2014. © Assemble

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.