Volontariato

Il volontariato e la Riforma. Ecco le questioni su cui bisogna vigilare

In vista della mobilitazione del volontariato italiano che comincerà il 9 maggio all’Università di Roma per ragionare sulla Riforma del Terzo Settore, Stefano Zamagni, sul numero di Vita in edicola, ragiona sui rischi sulla legge che sta concludendo il suo iter parlamentare, in particolare circa l'art. 5 che affronta la tematica relativa al volontariato

di Stefano Zamagni

Mi hanno colpito in queste settimane le tante voci del mondo del volontariato che hanno espresso dubbi e lamenti rispetto ai contenuto della Legge delega di Riforma del Terzo settore che sta concludendo il suo iter parlamentare. La domanda è se siano giustificati questi mal di pancia o no. Nella Legge delega la tematica specifica del volontariato è affrontata all’art. 5. Posso capire la preoccupazione ma il lamento che ho percepito da alcuni ambienti del volontariato non ha fondamento.

Se ci dovevano essere motivi di insoddisfazione avrebbero dovuto essere espressi prima, per esempio nelle audizioni parlamentari o comunque in questo largo lasso di tempo, non a distanza di quasi un anno. Quello che invece si deve temere è che i decreti delegati, che inizieranno il proprio iter a breve dopo il placet definitivo del Senato, prendano una piega che non faccia risaltare in tutto il suo splendore la verità del volontariato. In questo senso, allora, anch’io condivido alcune preoccupazioni.

All’art. 5, alla lettera a) si scrive come criterio direttivo che occorre, «armonizzazione e coordinamento delle diverse discipline vigenti in materia di volontariato, e di promozione sociale, valorizzando i principi di gratuità, democraticità e partecipazione e riconoscendo la specificità e le tutele dello status di volontario all’interno delle organizzazioni di Terzo settore».

Quindi il tema è ben presente nella Legge delega, dove nasce allora la preoccupazione? Mi pare che in questione ci sia la fase della scrittura dei decreti delegati che dovranno definire cosa effettivamente siano la «gratuità, la democraticità e la partecipazione». È la fase definitoria che desta preoccupazioni. Per esempio, il principio di democraticità come si dettaglierà? Pensiamo ad alcune organizzazioni di tendenza, tipo quelle cattoliche legate spesso a congregazioni religiose, organizzazioni senza le quali l’accoglienza dei migranti in questo Paese sarebbe ancor più complicata di quanto già lo è, per loro la democraticità non può essere le libere elezioni con propaganda di liste, lì non si può procedere a colpi di maggioranza. Ma quello non è volontariato? Il principio democratico, l’ho sottolineato tante volte, non coincide con il sistema delle elezioni.

Altro esempio, al punto b) si dice «promuovere la cultura del volontariato», qui secondo me c’è una svista quasi lessicale. Perché cultura del volontariato non significa nulla, bisognerebbe dire «promozione dell’azione volontaria», il volontariato è un’organizzazione, si promuove la cultura dell’organizzazione o dell’agire volontario? Nella scrittura dei decreti delegati bisognerà vigilare che non passi l’interpretazione secondo cui la cultura del volontariato è la cultura organizzativa, che sarebbe una riduzione funzionalistica. La cultura dell’agire volontario è la cultura della gratuità, ed è questa dimensione che bisogna promuovere affinché si rigeneri continuamente il motore primo d’ogni iniziativa solidale. Gratuità non vuol dire fare senza costi, senza neppure un rimborso spese, altrimenti il volontariato si ridurrà ad essere fenomeno per ricchi o per dame di carità. Queste mi sembrano le preoccupazioni che stanno emergendo e che sono condivisibili.

Quello che è importante è poi la lettera e) che riguarda i Centri di servizio del volontariato. Lì si dice che i Centri di servizio hanno finalità di supporto tecnico, formativo e informativo per l’intero Terzo settore e persino per il sostegno di iniziative territoriali solidali. Questo punto può essere foriero di equivoci terribili. I Centri di servizio devono operare anche a favore delle fondazioni, delle imprese sociali? Siccome le risorse sono quelle che sono è ovvio che la preoccupazione è che per il volontariato rimangano risorse residue. Basterebbe perciò che i decreti introducessero una quota, per esempio scrivendo che almeno il 70 o 75% delle risorse siano dedicate al volontariato. È una preoccupazione seria perché i Centri di servizio sono un obiettivo polmone finanziario e di servizio soprattutto per i piccoli soggetti del volontariato.

Infine, un altro motivo di preoccupazione è che alla fine il controllo, anche sul volontariato lo farà la burocrazia, ovvero il ministero del Lavoro, e anche questo, soprattutto per le organizzazioni di volontariato medio piccole, fa paura perché il volontariato è l’anello più debole del Terzo settore e la burocrazia troppo spesso si limita all’applicazione dei regolamenti in modo cieco. Quindi, vigiliamo.

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