Mondo

Baltimora, città delle rivolte e dell’innovazione sociale

Viaggio nei quartieri-ghetto della città del Maryland dove è morto Freddie Gray e dove lavorano i community organizer

di Diego Galli

Non si placano le tensioni a Baltimora, la città del Maryland dove è morto Freddie Gray, il ragazzo afroamericano di 25 anni deceduto per danni alla spina dorsale subiti mentre si trovava in custodia della polizia. Ma Baltimora e i suoi quartieri ghetto costituiscono anche un importante laboratorio sociale. Come spiega Diego Galli autore di "Tu vuo' fa' il community organizer" in questa suo intervento per Vita.it

"Visitai per la prima volta Baltimora due anni fa. Rob English, un veterano della guerra in Somalia divenuto un esperto community organizer, guidava accanto a Inner Harbor, il waterfront pieno di alberghi, centri commerciali e un casinò costruito grazie a ingenti fondi pubblici. Mi spiegò che mentre venivano edificati i grattacieli nell'ex area portuale, la popolazione di Baltimora era passata da 1 milione di abitanti (1950) a 621 mila (2010). Come risultato di questo spopolamento, dovuto alla chiusura delle attività manifatturiere e dei servizi legati al porto, c'erano più di 16.000 case abbandonate, che divenivano spesso ricettacolo per attività criminali (1,6 crimini violenti ogni 100 persone contro una media USA di 0,4). 1/4 dei residenti, e il 37% dei bambini, vivevano sotto la soglia di povertà. Il 20% del territorio è considerato “food desert”, privo cioè di esercizi commerciali dove sia possibile acquistare alimenti freschi. La chiamava “la storia di due città”, downtown e uptown, il centro tutto lustro e alberghi, e i quartieri ghetto infestati dallo spaccio di droga e la disoccupazione.

Sandtown, il quartiere dove è stato arrestato Freddy Gray e dove sono scoppiate le rivolte dei giorni scorsi, il tasso di disoccupazione è del 30%, ed è ancora più elevato per gli afroamericani. Inoltre, il quartiere guida le classifiche della città per percentuale di ex carcerati che vi si istallano una volta usciti di prigione.

Rob English fa il community organizer per BUILD (Baltimoreans United for Leadership Development), l'affiliata locale dell'Industrial Areas Foundation. Per descrivermi BUILD mi dice che, «non è un’organizzazione tematica, né territoriale. E’ un’organizzazione “culturale”. Il suo campo di azione sono le relazioni umane e il suo obiettivo è dare alle persone un senso di potere, di capacità di agire».

 BUILD ha all'attivo diverse vittorie storiche, tra cui l'introduzione della prima ordinanza municipale per il reddito minimo garantito degli USA, che fu approvata proprio dalla città di Baltimora su sua pressione nel 1994. I community organizer di Baltimora intervengono dei quartieri  più difficili della città. Nell'area nota come “Oliver community”, divenuta famosa a livello internazionale grazie alla serie televisiva “The Wire”, il 98,4% dei residenti è afroamericano, il 44% delle case sono abbandonate, e le statistiche parlano di 87 arresti ogni 1000 giovani per reati di droga (il doppio della media della città). BUILD ha coalizzato chiese, sindacati e cittadini e lavorato a partire dal 2004 a un piano di recupero del quartiere. In 10 anni ha acquistato più di 400 case abbandonate, ristrutturato più di 250 abitazioni per rivenderle o affittarle a prezzi accessibili, ridotto le case vuote dal 66% al 16%, e fatto risalire il valore di mercato delle abitazioni del 50% dal 2010.

Il Financial Times ha dedicato all'organizzazione un articolo in occasione delle rivolte di questi giorni per l'uccisione di Freddy Gray. Scrive riportando le parole della lead organizer di BUILD:

Ojeda Hall, una laureata di Harvard scappata con sua madre dal ghetto di Baltimora, dice che Build ha realizzato che creare posti di lavoro era l'unico modo di ridurre le tensioni che creano le condizioni per le violenze scoppiate questa settimana. Il gruppo ha ascoltato i punti di vista di 5.000 residenti. Questo ha dato avvio a una spinta per convincere imprese locali, come l'ospedale John Hopkins, a iniziare ad assumere ex carcerati.

Nel 2014, infatti, 40 chiese e scuole memebre di BUILD hanno condotto per tre mesi una campagna di ascolto tipica della tradizione del community organizing. Gli incontri con oltre 5.200 residenti hanno reso chiaro che la priorità numero uno degli abitanti era il lavoro. E così, in partnership con l'ospedale Johns Hopkins, ha realizzato un progetto pilota per la formazione, l'apprendistato e l'inserimento lavorativo con salario minimo di 10,69$ all'ora degli ex carcerati. E ora sta chiedendo che la città espandi il progetto ad altri quartieri.

 Foster-Connors, co-presidente di BUILD, in un editoriale pubblicato dal New York Daily News, ha scritto:

Di recente il presidente del Johns Hopkins a chiesto un incontro con altri ospedali e università di avanguardia per sviluppare un piano per assumere più ex carcerati e disoccupati. Loro, come noi, capiscono che il problema del crimine è un problema di lavooro. Come uno degli ex carcerati con cui lavoriamo ha detto, “Assumetemi. Non arrestatemi”.

 Il community organizing è una tradizione di attivismo civico nato negli Stati Uniti negli anni ’30 del secolo scorso il cui fondatore, Saul Alinsky, è stato definito da Jaques Maritain uno dei «tre rivoluzionari degni di questo nome» di tutto l’occidente. Alla morte di Alinsky la sua eredità è stata raccolta e sviluppata dall'Industrial Areas Foundation (IAF), da lui stesso fondata nel 1940, con l'obiettivo di dare risposta ad alcuni dei maggiori problemi sociali attraverso l'attivazione di chi li vive sulla propria pelle e il potere che si genera attraverso le relazioni. Questo metodo di intervento è stato sviluppato e testato nel corso di oltre 75 anni di attività, in più di 60 città degli Stati Uniti, e 5 diversi paesi del mondo. Più di recente il community organizing è stata una delle strategie di maggiore successo utilizzata dai sindacati per organizzare e difendere i lavoratori atipici o non sindacalizzati

 

 

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.