Non profit

Azzardo di Stato: ecco perché il decreto sui giochi è un colabrodo

Viene presentata come la "riforma epocale" del sistema dell'azzardo italiano. Il sottosegretario Baretta dichiara che «si ridurranno di 100mila unità» le più di 380mila slot machines presenti sul territorio italiano, ma nessun articolo, tra i 114 del testo di riforma, prevede un limite alle licenze. E le soglie di installazione vengono continuamente abbassate. E la pubblicità? La vieteranno solo alla mafia

di Marco Dotti

È una riforma a cassettoni. Basta aprirne uno e ne esce una bella sorpresa.

Il Fondo Buone cause

Piero Fassino, che forse ama le sorprese, tace. L'Anci, associazione dei comuni che proprio il sindaco di Torino presiede, tace. Tacciono i tanti, troppi che, sedotti dai 200 milioni di euro l'anno – quasi la stessa cifra del fondo disabilità! – promessi dalla riforma dell'azzardo legale, attendono di poter mettere le mani- con inutili corsi di formazione e pseudoprevenzione sulla tassa di scopo prevista dall'articolo 112 della bozza di riforma dell'azzardo legale approntata dal Mef.

Che cosa prevede quello che il sottosegretario Pier Paolo Baretta ha chiamato "Fondo Buone cause"? Dalle parole dello stesso Baretta, intervenuto al convegno "Il rischio e la regola" tenutosi lunedì scorso all'Università di Firenze e leggendo la bozza di riforma datata 26 marzo capiamo che presso il Ministero dell’economia e delle finanze verrà istituito un fondo finalizzato finanziare progetti per "misure compensative" del disagio provocato sui territorio dalla presenza dell'azzardo.

In sostanza – interpretazione mia – uno scambio: ti tieni l'azzardo e io ti faccio arrivare fondi, fondi che deriveranno da una percentuale di "tutte le entrate da gioco, sia soggette a prelievo tributario sia che generino utile erariale" e verranno distribuiti in base ai flussi di denaro giocato su quel territorio. In sostanza, i comuni che più si vedranno invasi dall'azzardo dei centri scommesse, delle sale Vlt e dalle slot prenderanno più soldi e potranno distribuirli esternalizzando i progetti. Siamo alle solite, verrebbe da dire.

Ricordiamo che in Italia ci sono 8.407 comuni e 380mila slot machine, mentre il Fondo "Buone cause" prevede allo stato attuale uno stanziamento di 200milioni di euro l'anno.

Sindaci, consiglieri comunali e regionali, presidenti e assessori di regioni che si prendessero la briga di leggere – ma leggere davvero, senza farsi stordire dal coretto dei mediatori delle buone pratiche ma dalle maldestre intenzioni – i 144 articoli che compongono questa "riforma epocale", di sorprese ne avrebbero non poche. 

I più attenti e sensibili si sono già mossi (leggi qui la lettera di Roberto Maroni a Renzi o la reazione del vicesindaco di Milano).

Le Regioni verranno messe ko

In sostanza, con l'aiuto e il silenzio di molti – primi fra tutti: Piero Fassino, presidente dell'Anci o Legautonomie – si tende a pacificare un conflitto materiale, di competenze, di funzioni e anche eminentemente etico-politico che, piaccia o meno al sottosegretario Baretta, è lì pronto a esplodere proprio su quei territori che per primi hanno reagito a al problema. 

Un problema che è culturale, sociale, educativo, di sistema non solo sanitario o clinico e che coinvolge – ci serviamo dei dati di Confindustria Gioco, giusto per non essere tacciati come "di parte" – più di 800 mila persone dipendenti o prossime alla dipendenza, muove un volume di affari diretto di 84,72 miliardi di euro l'anno (e un utile complessivo di 17,9) e ha insediato in luoghi di incontro, bar, stazioni e persino circoli Acli e Arci più di 380mila slot machine: una cifra che non ha eguali al mondo… Giusto per capire di che cosa parliamo, è bene ricordare che l'export agricolo italiano, da solo, fattura "solamente" 14miliardi di euro.

Ricordiamo che  sono già 13 le regioni che si sono dotate di leggi No Slot, leggi che proprio in base al dispositivo preparato dai tecnici del Ministero verranno cancellate, laddove prescrivono distanze, limitazioni orarie, alla pubblicità e via discorrendo. È bene che si sappia, anche se su questo aspetto si tende a mettere la sordina, perché siamo prossimi alle elezioni in molte regioni (pensiamo alla Puglia, dove il candidato PD Michele Emiliano si è sempre espresso in modo durissimo contro il fenomeno dell'azzardo).

Le bistecche della riforma

Diceva il grande semiologo Jurij Lotman che da un vitello possiamo trarre molte bistecche,ma da molte bistecche non possiamo mai ottenere un vitello.

L'impressione è che lo schema del nuovo Testo unico sui giochi, così definito dal sottosegretario Baretta, approntato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, che in gergo tecnico prende il nome di "Decreto legislativo recante il riordino delle disposizioni in materia di giochi pubblici ai sensi dell'articolo 14 della Legge 11 marzo 2014 n. 23", partito da una specifica delega parlamentare e dall'esigenza di riordinare il sistema portandolo a un diverso grado di coerenza, sia oramai più un cumulo di bistecche, che un vitello.

Ciò che si dice non è ciò che si scrive

Vediamo alcune delle criticità di questo provvedimento che, ricordiamolo, doveva essere presentato sul tavolo del Consiglio dei Ministri nel febbraio scorso ma, evidentemente, qualche problema lo suscita, se si sta tardando tanto.

  1. Chi lo ha scritto? Allo stato attuale, non sappiamo chi o quale gruppo di lavoro, in assenza di una commissione tecnico-scientifica creata ad hoc e aperta al dibattito – cosa che sarebbe stata auspicapile – abbia e ancora stia lavorando alla definizione di quella che ambirebbe a essere una "riforma epocale". A parte anonimi tecnici di Stato, prassi vorrebbe che su "riforme epocali" che lambiscono terre incognite di una certa complessità, si sviluppassero dibattiti pluridisciplinari in commissioni ad hoc, come avviene ed è avvenuto per tutte le vere riforme "epocali" del nostro sistema, dal Codice Penale di Alfredo Rocco in poi.
  2. Aumenteranno le slot, se non se ne limita per legge il numero.  Al convegno di Firenze, Baretta ha ribadito che "ci sarà una riduzione delle macchinette sul territorio", anche se ha quantificato questa riduzione in 80mila unità, mentre fino a poche settimane fa il numero, dalle parole dello stesso sottosegretario, era compreso tra le 100 e le 150mila unità. Come si arriverebbe a questa – ipotetica – riduzione? Grazie, ha ribadito il sottosegretario il 13 aprile scorso (stiamo attenti alle date), alle norme restrittive che una slot prevedono "l'installazione di 1 slot ogni 7 metri" all'interno di un bar e "non più di 6 slot per ogni bar, in sale dedicate". Peccato che, nella bozza del 26 marzo, i 7 metri siano diventati 3 metri. Leggiamo dall'articolo 11 della Bozza-Baretta: "la raccolta del gioco mediante apparecchi di cui all’articolo 7, comma 1, lettere a) e b), è consentita solo se esse hanno una superficie non inferiore a 50 metri quadrati e se è rispettato il parametro di un apparecchio ogni 3 metri quadrati". A una verifica pratica e testuale, si capisce che non ci sarà alcuna riduzione delle slot sul territorio italiano – come promesso dal sottosegretario Baretta – anzi, visto che oggi ogni bar ha in media 2 slot machine e uno spazio solitamente compreso tra gli 80 e 110 metri quadrati, si arriverà a triplicare potenzialmente il numero delle slot machine per ogni bar che verrà trasformato in quella che il Ministero chiama "gaming hall".
  3. Pubblicità: e se il vero nodo fossero i centri scommesse appena legalizzati? "Possiamo ragionarci in altra sede", ha dichiarato sempre il 13 aprile scorso il sottosegretario Baretta. "Il mio timore", ha aggiunto, "è che se forziamo troppo la mano potremmo avere dei ricorsi in sede europea e questi ricorsi potrebbero cancellare tutto, anche i primi passi che stiamo facendo per regolare questo ambito".A parte che un ricorso è comunque è sempre possibile (non solo sulla ma pubblicità, ma persino su altre norme della riforma), anche qualora venisse approvata la norma "così com'è", l'esperienza di Paesi come Germania, Norvegia, Svezia, Danimarca, dimostra che in Europa non c'è alcuna pregiudiziale nei confronti di una regolazione drastica della pubblicità, anzi. Allora c'è da capire da dove, o meglio da quali soggetti potenzialmente ricorrenti possa nascere un eventuale ricorso. La mia ipotesi è che siano le società di scommesse sportive regolarizzate – diciamo pure: beneficiarie di un condono – con la recente legge di stabilità. Non è un caso che le fasce orarie  di regolamentazione radiotelevisiva proposte dal sottosegretario nel suo codice non valgano per partite di calcio e per gli spot delle scommesse relative. Possiamo in nome di questo implicito patto di non belligeranza tra società di scommesse e decisori sacrificare una policy tanto necessaria?

Basterebbero questi punti per capire che non si può andare avanti per questa strada, che da una riforma del genere (né discussa, né chiara nei suoi presupposti, né supportata da una commissione tecnico-scientifica che ne garantista la terzietà rispetto al soggetto-Stato, al soggetto-Parastato e ai soggetti privati-Concessionari ) non ci si può aspettare altro che un cumulo di bistecche mal frollate.

Eppure, ascoltando le parole del sottosegretario Baretta, sembra che "fin qui" vada tutto bene. Baretta è impegnato in questi mesi in un lavoro di cucitura relazionale e in una sorta di tour per spiegare quella che viene data come "la riforma epocale" dell'azzardo legale italiano o il "salto di qualità da un sistema che puntava solo a far cassa" a uno che ha la luciferina prestesa di "produrre valore". 

Alla fine, però, il sospetto è che nemmeno lui creda più alla bontà delle "riforma epocale". Ritirarla, a questo punto, sarebbe il vero valore.

 

@oilforbook

 

PS: Alcune precisazioni:  le osservazioni del sottosegretario si riferiscono al dibattito del 13 aprile tenutosi a Firenze, Facoltà di Scienze Politiche, a cui chi scrive ha partecipato; i riferimenti alla Bozza di riforma sono relativi al documento – datato 26 marzo – allegato al paper "Il rischio e la regola" diffuso anch'esso nel corso del convegno del 13 aprile; le osservazioni che seguono,da me espresse a titolo personale, sono un'elaborazione di quelle presentate in forma sintetica nel corso dello stesso convegno.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.