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#muslimlivesmatter: le vite dei musulmani contano
Dopo l’omicidio plurimo di tre studenti musulmani a Chapel Hill, un immigrato iracheno viene ucciso a Dallas e, a due giorni dal discorso sui diritti civili fatto da Obama a Selma, ritornano le polemiche sull’uguaglianza raccolte sotto l’hashtag #muslimlivesmatter
E’ stato ammazzato mentre guardava la sua prima nevicata Ahmed Al-Jumaili, 36 anni, immigrato iracheno, arrivato a Dallas, in Texas, appena tre settimane fa.
A poche settimane dal pluriomicidio di Chapel Hill in Nord Carolina, dove tre studenti americani di fede musulmana, erano stati uccisi a sangue freddo da un vicino di casa, negli Stati Uniti, per la comunità islamica torna lo spettro dell’hate crime. Il Council on American-Islamic Relations e la Muslim Civil Liberties Organisation, hanno chiesto espressamente alla polizia di indagare sui moventi dell’omicidio. “Per i recenti incidenti che hanno avuto come bersagli americani di fede islamica, tra cui tre giovani musulmani in Nord Carolina, chiediamo alle forze dell’ordine di rispondere alle preoccupazioni della comunità, facendo chiarezza sulla natura del movente in questo caso”, ha dichiarato Alia Salem, direttore esecutivo della Muslim Civil Liberties Organisation. Secondo la ricostruzione della CNN, Al-Jumaili era uscito in cortile, per guardare la neve quando alcuni uomini sarebbero entrati nel palazzo e avrebbero aperto il fuoco.
Appena la scorsa settimana a New York, la comunità musulmana aveva registrato un risultato importante, con l’inserimento nel calendario scolastico la celebrazione di due festività islamiche. Un riconoscimento storico, in un periodo di ripetute tensioni per la comunità musulmana nel Paese.
Mentre la polizia sta indagando per effettuare cosa sia accaduto la notte di giovedì, esattamente come nel caso di Chapel Hill sono montate le polemiche, perché, secondo molti, ancora una volta i media non si sono occupati abbastanza del caso. Su Twitter ancora una volta, l’hashtag #muslimlivesmatter, letteralmente le vite dei musulmani contano, è tornato trending topic, parafrasando #blacklivesmatter, l’hashtag di protesta che ha riunito le manifestazioni contro gli episodi di violenza della polizia nei confronti dei cittadini afroamericani, dopo Ferguson.
Proprio lo scorso sabato, nel suo discorso per l’anniversario della marcia di Selma, Obama aveva sottolineato i risultati ottenuti nella battaglia per l’uguaglianza e i diritti civili: “Sappiamo che la marcia non è ancora finita, che la battaglia non è ancora stata vinta, e che entrare in un’epoca nella quale saremo giudicati solo per quello che siamo significa ammettere queste cose…” eppure aveva aggiunto: “rifiuto di ammettere che niente sia cambiato, nel frattempo. Ciò che è accaduto a Ferguson può non essere un fatto isolato, ma non si tratta più di un comportamento endemico, legittimato dal costume e dalle leggi, cosa che poteva dirsi prima della nascita del movimento per i diritti civili.”
L’omicidio di Dallas aggiunge benzina al fuoco della tensione cresciuta negli ultimi mesi, non solo nella comunità afroamericana ma anche in quella islamica.
Al-Jumaili era arrivato negli Stati Uniti solo 20 giorni prima della sparatoria, per ricongiungersi con la moglie Zahraa, arrivata negli Stati Uniti un anno fa. Arrivato all’aeroporto, la moglie l’aveva accolto con un cartello: “Ho aspettato 460 giorni, 11,040 ore, 662,400 minuti per questo momento, benvenuto a casa.”
Foto: Dan Kitwood/Getty Images
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