Mondo
Donne: potenziale economico inespresso
Le donne costituiscono il 40% della forza lavoro globale ma rimangono un potenziale inespresso. A denunciarlo sul suo blog è Christine Lagarde direttrice del Fondo Monetario Internazionale. «Quello che viviamo è un complotto sessista» ha detto
di Anna Spena
C’è una relazione forte tra le restrizioni legali che impediscono alle donne di entrare nel mondo del lavoro e le disparità economiche tra uomini e donne che il mondo lo abitano.
Le differenze di genere lette in quest’ottica ancora non “generano”, purtroppo, un grande stupore. Però quando a denunciarlo è una delle donne più potenti al mondo, sembra che la questione assuma più rilevanza e, se è possibile, anche più drammaticità: Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, sul suo blog ha parlato di un vero e proprio “complotto sessista”.
La riflessione è nata dall’analisi dell’ultimo studio condotto dagli economisti del Fondo Monetario Internazionale che hanno dimostrato come l’esclusione delle donne dalla vita lavorativa e soprattutto dalla possibilità di ricoprire cariche importanti e adeguatamente retribuite, influisca in percentuali consistenti sul Pil di una nazione.
La direttrice ha scritto: «in troppi paesi, troppe limitazioni legali cospirano contro le donne, impedendo loro di essere economicamente attive».
Nell’analisi appare chiaramente che nel 90% delle nazioni del mondo le restrizioni sono tali tanto da impedire alle donne di acquisire proprietà in autonomia, di ottenere prestiti dalle banche o anche semplicemente scegliere una professione.
In più di 40 nazioni si perde il 15% della ricchezza potenziale a causa di una discriminazione sessista. Non ci meraviglia che l’Italia non faccia eccezione: anche nel nostro paese il pil potrebbe crescere del 15% se ci fossero più donne al lavoro. Gli Stati Uniti perdono “solo” il 5%, gli Emirati Arabi il 12%, il Giappone il 9% e l’Egitto addirittura il 34 %.
«Ha senso economico aumentare la partecipazione al lavoro delle donne», ha concluso Lagarde, «il nostro studio sottolinea anche come l’introduzione di una maggiore equità nei diritti di proprietà o nella ricerca della realizzazione professionale non avviene a spese dell’occupazione maschile».
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