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Rifiutati dalla sorte e dagli uomini
È questo il titolo di uno dei documentari più completi e aggiornati sul fenomeno del gioco d’azzardo patologico in Italia. Vita.it ha intervistato il regista Vieri Brini. «Lo scopo è quello di restituire un quadro chiaro di quale sia l'impatto sociale del gioco d'azzardo nel nostro Paese»
Circa 40 proiezioni in tutta Italia per un progetto nato bevendo un caffè. Si chiama “Rifiutati dalla sorte e dagli uomini” il documentario girato dai registi biellesi Vieri Brini ed Emanuele Policante che racconta il gioco d'azzardo legalizzato italiano. Un lavoro cinematografico dall’enorme valore scientifico grazie alla consulenza di Mauro Croce, psicologo e criminologo tra i massimi esperi di gap (gioco d’azzardo patologico) in Italia. Abbiamo chiesto al regista Brini di raccontarci questo suo lavoro.
Come nasce l'idea del documentario?
Alla radice dell'idea c'è un episodio che è capitato a me e all'altro regista. Eravamo a Biella quattro anni fa, in un bar. Mentre sorseggiavamo un caffè entrò un signore sui 60anni che si mise di spalle sul fondo del locale. Rimase lì per mezz'ora. Solo dopo ci siamo resi conto che stava giocando alle slot. E abbiamo cominciato a farci delle domande. Quanto avesse speso, se giocasse solo lì, quanto giocasse al giorno. Così abbiamo cominciato a fare ricerche e a maturare l'idea di lavoro. È un lavoro che è stato possibile soprattutto dall'incontro con lo psicologo e criminologo Mauro Croce, uno dei massimi esperti di gap in Italia e che è diventato il nostro comitato scientifico.
Avete scelto di fare un lavoro divulgativo. Quindi tanti dati, interviste e pochi effetti speciali…
Sicuramente il documentario è una sorta di ibrido. Anche a livello linguistico, dal punto di vista cinematografico. Non è la classica inchiesta né un doc di creazione, che invece privilegiano il lato cinematografico/emotivo. Ci siamo trovati a ragionare sul fatto che volevamo dire tante cose in un lasso di tempo ragionevole (il documentario dura 70 minuti ndr). Abbiamo scelto di creare un percorso che portasse lo spettatore, partendo da un cappello introduttivo ricco di dati e attraversando l'incontro con esperti e giocatori, ad avere un quadro chiaro di quale sia l'impatto sociale del gioco d'azzardo nel nostro Paese.
Il vostro lavoro andrà nei cinema. Ma sembra che in qualche modo sia anche pensato per la scuola. È così?
Ha sicuramente un forte impianto divulgativo e didattico. Ma non è tarato esplicitamente su una dimensione scolastica. È sicuramente pensato per far capire veramente il tema. Dopo la visione la posizione dello spettatore nei confronti del gioco non potrà più essere la stessa. Ci criticano per non avere preso, nel documentario, una posizione forte. Ma non ce n’è bisogno. Basta il semplice racconto della realtà del gioco d'azzardo e della ludopatia.
Cosa ha imparato facendo il film?
Che la realtà va affrontata su più livelli. Bisogna andare sempre al di là dei numeri. Perché dietro quei numeri ci sono le persone, con i propri rapporti le porprie famiglie e le proprie vite. E poi che c'è bisogno di parlare di cose come questa il più possibile, confrontarsi anche in maniera accesa. Altrimenti i problemi vengono sempre visti come qualcosa di lontano e non attinente alla propria vita. Ma non è così. Una sera siamo andati a Baggio per una proiezione. Lì non cera nulla. L'unica luce accesa era quella di un bar con le slot. Come fa a non riguardare tutti il fatto che un quartiere butta i soldi nelle macchinette invece di metterli nell'economia reale? O che la malattia di quelle persone peserà sulla spese sanitarie di tutti?
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