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Choucha, il campo profughi fantasma
Il campo, nel sud della Tunisia, ha chiuso ufficialmente a giugno 2013, ma da un anno ci vivono in condizioni estreme circa 80 rifugiati scappati dalla guerra libica. Con la notizia dell’evacuazione forzata i rifugiati rischiano di essere trasferiti in un centro di detenzione a Ouardia (Tunisi) senza nessun diritto
di Giada Frana
da Tunisi
Nel sud della Tunisia, a pochi km di distanza dal confine libico, si trova il campo di Choucha, aperto dal febbraio 2011 per ospitare i rifugiati in fuga dalla guerra libica e gestito dall’Alto Commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr). Ufficialmente chiuso il 30 giugno 2013, in realtà un’ottantina di persone vi sono rimaste finora, vivendo in condizioni estreme: nel pieno deserto, senza acqua, elettricità e cure mediche. Il 3 ottobre la croce rossa tunisina (CRT) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) hanno visitato Choucha e informato i rifugiati dell’intenzione di evacuare in modo definitivo il campo. “Non abbiamo notizie officiali – spiega Frida Ben Attia, coordinatrice regionale del progetto “Boats 4 people” presso il Ftdes, Forum tunisino per i diritti economici e sociali -: il ministero della Difesa non ha ancora emesso un comunicato officiale. Sembrava che si volesse evacuare entro il 15 ottobre, ma non si sa quando manderanno l’esercito. Abbiamo saputo ufficiosamente che i rifugiati saranno poi spostati a Médenine o nel centro di detenzione a Ouardia (Tunisi). Ciò significa che non saranno liberi di circolare sul territorio tunisino e non avranno diritto né al lavoro, né all’educazione, né alle cure mediche”.
Molti di loro si sono visti rifiutare la domanda di asilo politico, senza valide motivazioni. Eppure l’articolo 26 della Costituzione tunisina garantisce il diritto d’asilo “secondo le disposizioni della legge”: il problema è che questa legge non esiste ancora. Il rischio è che i rifugiati senza status vengano arrestati, come è successo a Bamba Oumar, 31 anni, ivoriano, arrestato il 27 settembre dalla guardia nazionale di Kairouan perché non in possesso di un documento dì identità valido, caso preso in carica dal Ftdes.
“Il Ftdes – prosegue Frida – si appella al rispetto del diritto d’asilo, come dall’articolo 26 della Costituzione; chiede che venga offerto uno status giuridico stabile ai rifugiati, come deciso dal governo a luglio 2013 (il governo tunisino ha promesso ai rifugiati un permesso di soggiorno temporaneo, nell’attesa della legge sull’asilo, ma questi permessi non sono ancora pervenuti, ndr); che vengano riesaminate le domande d’asilo e sollecita l’Unione Europea ad accogliere questi rifugiati e garantire loro diritto d’asilo”. “Vivevo in Libia da un anno e mezzo – spiega H.P., ivoriano, tra i rifugiati rimasti a Choucha -, sono arrivato qui insieme ad altri durante la guerra, sotto la protezione dell’Unhcr. Nel 2013 sono venuti nel campo a prenderci le impronte digitali per poi darci un permesso di soggiorno, ma fino ad oggi siamo ancora in attesa di riceverlo. La Libia per noi era un paese d’accoglienza, se non fosse scoppiata la guerra non saremmo venuti in Tunisia. Vogliono farci rientrare nei nostri Paesi di origine, ma non possiamo: è pericoloso. Non è bello vivere lontano dalla propria famiglia e dal proprio Paese, ma non abbiamo scelta. Chiediamo solo che venga riconosciuto il nostro diritto a una protezione internazionale”.
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