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Un telefono d’allarme per evitare le morti in mare

Dal 10 ottobre, grazie a una rete transnazionale di attivisti tra la sponda Nord e Sud del Mediterraneo, è attivo “Watch the Med Alarm Phone”: un telefono d’emergenza per sollecitare il salvataggio dei migranti in difficoltà

di Giada Frana

11 ottobre 2013: un peschereccio con a bordo circa 480 migranti, per la maggior parte siriani, sta affondando. I migranti provano per tre volte a contattare via satellite la guardia costiera italiana, invano. Dopo due ore la risposta: devono chiamare la guardia costiera di Malta.
I soccorsi arrivano troppo tardi: due ore di negligenza italiana e l’assurda suddivisione delle competenze tra l’Italia e Malta hanno portato alla morte di 268 persone.

Ma cosa sarebbe successo se i migranti avessero potuto chiamare un’altra linea telefonica indipendente, che avrebbe potuto dare l’allarme e mettere pressione alle autorità per attuare il salvataggio? Partendo da questo presupposto dal 10 ottobre è attivo “Watch the Med Alarm Phone”, un numero di telefono (+334 86517161) gestito da un network di associazioni sparse tra la sponda Nord e Sud del Mediterraneo a cui i migranti di rotte migratorie nel Mediterraneo Centrale, nel Mar Egeo e tra il Marocco e la Spagna, potranno rivolgersi.
“Watch the Med” è una piattaforma online che monitora le morti e le violazioni dei diritti dei migranti nelle frontiere marittime dell’Unione europea, sostenuta da Welcome to Europe, Afrique Europe Interact, Borderline – europe, Noborder Morocco, Forschungsgesellschaft Flucht und Migration e Voix des Migrantes.

Con questo numero di telefono di emergenza, non c’è intenzione di sostituirsi alla guardia costiera: il network non predispone di una squadra di soccorso e per prima cosa suggerisce ai migranti di rivolgersi alle autorità di soccorso. L’obiettivo è mettere pressione affinché queste ultime intervengano subito in caso di pericolo e per evitare che si ripetano tragedie in mare.

Il telefono è stato testato a fine settembre da circa 50 attivisti a Tunisi, Palermo, Strasburgo, Vienna, Berlino ed altre città. «Le famiglie non hanno il potere di fare pressione»  spiega Maggie, un’attivista tedesca a Tunisi, «noi sì. In questo modo le autorità si sentono osservate».
«È un atto di solidarietà per i migranti», prosegue Corinna, di “No Border Frankfurt”, «contro il sistema delle frontiere. Sappiamo che può funzionare perché è un metodo che è già stato utilizzato da attivisti in passato: non si tratta che istituzionalizzare ciò che già fanno».
«Prima di iniziare», spiega Syrine dell’associazione tunisina “Article 13” «abbiamo intervistato diverse persone che hanno provato a traversare il Mediterraneo: quando sono in pericolo, chiamano le famiglie, che non possono fare nulla. In questo modo hanno invece un numero di riferimento che può aiutarli».

Il telefono funziona 24h/24 e 7 giorni su 7: dall’altro capo della linea, una squadra multilingue (inglese, francese, arabo, farsi, somalo, tigrigna e greco). «Pensiamo noi stessi come un progetto pilota» afferma Karim, un rifugiato siriano che ha vissuto un respingimento illegale nel Mar Egeo mentre fuggiva nel 2013 e che si è unito al telefono d’allarme da Amburgo. «Dopo un primo periodo valuteremo le nostre esperienze e decideremo come migliorare l’intervento contro le violazioni dei diritti umani in mare».

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