La carezza del Papa alla sofferenza dell’uomo

Papa Francesco celebrerà la Messa del Giovedì Santo in un Centro della Fondazione don Carlo Gnocchi. La gioia di monsignor Bazzari e degli ospiti, una festa per gli "amis de la baracca"

di Sara De Carli

Fra due giorni Papa Francesco sarà al Centro Santa Maria della Provvidenza della Fondazione Don Gnocchi, a Roma. Alle 17,30 celebrerà la Santa Messa in Coena Domini del Giovedì Santo e laverà i piedi a dodici ospiti della Fondazione, fra anziani e disabili. La piccola chiesa del Centro, che può accogliere solo 300 persone, sarà per qualche ora al centro dell’attenzione del mondo intero. Monsignor Angelo Bazzari è il presidente della Don Gnocchi, con 5mila operatori e 10mila persone che accedono ai Centri della Fondazione alla ricerca di salute, solidarietà e compassione. Sull'immaginetta dell'evento ha voluto mettere una frase tratta dal messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2014: «Ad imitazione del nostro Maestro, noi cristiani siamo chiamati a guardare le miserie dei nostri fratelli, a toccare, a farcene carico e a operare concretamente per alleviarle».

Monsignor Bazzari, come mai il Papa ha scelto voi per il Giovedì Santo?
È una storia molto semplice, lineare. L’anno scorso il Papa è stato al carcere minorile di Casal del Marmo, nella nostra stessa zona, e così scrissi una lettera a Papa Francesco per invitarlo da noi. Parliamo di molti mesi fa. Alcuni mesi dopo incontrai il Papa in piazza San Pietro, ero l’ultimo della fila. Di quel giorno conservo due impressioni forti: che il Papa avesse in mano la piazza, con centinaia di migliaia di persone in silenzio assoluto, senza nemmeno un colpo di tosse e il fatto che per quei due minuti che il Papa si sofferma con te lui sia assolutamente concentrato su di te, in quel momento lui è davvero tutto lì per te. È stato lì che gli ho ricordato l’invito: “Santo Padre, la aspettiamo”, gli ho detto. E lui mi ha risposto: “Perché no? Ci pensiamo”. Pochi giorni fa è arrivata la notizia. Il resto lo sa.

Con quali emozioni l’ha accolta?
Con gioia, trepidazione e anche fierezza. Con il suo stile Papa Francesco sta dicendo continuamente che gli ultimi nel business sono evangelicamente i primi, in un contesto di Chiesa chiamata da sempre a mettersi il grembiule del servizio. La sua visita è una tenera carezza al mondo della sofferenza e insieme qualcosa che ci impegna, come Fondazione.

La visita del Papa inevitabilmente accende i riflettori su realtà e condizioni che di solito non suscitano l’interesse dei media. Quale aspetto della quotidianità della Fondazione e della condizione delle persone che seguite le sta a cuore che venga illuminato attraverso la visita di Francesco?
Don Carlo ci ha lasciato un patrimonio ideale e valoriale enorme. Noi cerchiamo ogni giorno di essere coerenti, in una fedeltà dinamica al suo carisma. Dinamica perché nel frattempo il mondo è cambiato, come tutti gli scenari dell’assistenza, della ricerca, della cura… Come saldare insieme tutto questo? Don Carlo aveva percorso la frontiera della morte, stando insieme ai soldati al fronte, noi abbiamo scelto di stare sulla frontiera della vita, accanto a tutte le fragilità dell’uomo, anche nei bisogni nuovi come gli stati vegetativi.  La seconda cosa è la domanda sul senso del dolore, a cui la scienza non risponde: la scienza dice “come mai”, non “perché” c’è il dolore. La risposta è in un Dio che si fa prossimo e sale sulla croce superando il limite non con la eliminazione della sofferenza ma con la sua ri-significazione.

Avete già individuato le dodici persone a cui il Papa laverà i piedi?
Sì, seguendo anche le indicazioni che  sono arrivate e che chiedevano un mix fra disabili, anziani, etnie e religioni. Ci sono varie età, anziani con Alzheimer, un uomo musulmano, alcune persone con disabilità fisica e altre con una disabilità psichica. Soprattutto il Papa si è raccomandato di fare una festa familiare, intima. Insomma, sarà una festa fra gli “amis de la baracca”.
 

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