Non profit

Al Senato sulle slot nessun errore. Solo lucidà volontà

Il comma-quater dell’emendamento alla "Salva-Roma” non è stato proposto dal governo ma dai membri del Senato, frutto di una lunga discussione

di Marco Dotti

«Orgogliosi di aver fatto tra le prime Regioni d’Italia, pochi mesi fa, una legge contro le patologie dell'azzardo e le slot machine. Non accetteremo mai e contrasteremo in tutti i modi norme statali che limitano la sacrosanta battaglia contro il gioco d’azzardo e le mafie che spesso si nascondono dietro», dichiara il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, colpito come tutti dal misto di incapacità e malafede che mercoledì scorso ha spinto il Senato a votare un emendamento pro-azzardo inserito ad arte nel decreto “Salva-Roma”.

Nel Lazio, la spesa delle famiglie per slot machine e scommessesi aggira sui 7 miliardi 1/2 di euro, più del 4,5% del Pil regionale. Anche per questo, dichiara Rita Visini, assessore regionale alle Politiche sociali e allo sport, "dobbiamo e vogliamo lanciare un segnale forte nella lotta alle ludopatie e dare una prima attuazione alla legge contro il gioco d’azzardo patologico”. Attuazione che rischia di essere fortemente compromessa dal voto di un senato che si è dimostrato, ancora una volta, lontano dalla gente e dai territori.

Tanto lontano che il governatore della Lombardia, Roberto Maroni non ha esitato a rilevare come l'ostilità stia diventando sempre più una sorta di battaglia campale. Nemmeno il tempo di accogliere con soddisfazione la scelta del governo di non impugnare le leggi No Slot di Toscana e Lombardia (Qui) che è il Senato, stavolta, a approvare, con un misto di miopia e cinismo, una provvedimento che penalizza gli enti locali che attueranno politiche No Slot.

Durissimo Roberto Maroni, che sulla legge No Slot della Lombardia ha investito energie e pragmatismo: «Una vergogna! La potente e ricchissima lobby delle slot e del gioco d’azzardo ha colpito ancora. Ostacoli le slot machines nel tuo territorio? Lo Stato ti taglia i trasferimenti di denaro. Si tratta di una  bastonata ai sindaci e alle regioni che lottano contro il gioco d’azzardo».

Il comma-quater dell’emendamento votato in Senato prevede che «qualora interventi legislativi regionali ovvero regolamentari di autonomia degli enti territoriali, aventi ad oggetto misure in materia di giochi pubblici riservati allo Stato, determinino nel corso di un esercizio finanziario minori entrate erariali, a decorrere dall’esercizio finanziario successivo sono attuate riduzioni degli ordinari trasferimenti statali a favore delle regioni ovvero degli enti locali che hanno deliberato tali interventi in misura corrispondente all’entità delle predette minori entrate ovvero maggiori spese». Segue una clausola che suona un tantino ricattatoria:  «Le riduzioni cessano a decorrere dal momento nel quale tali interventi legislativi e regolamentari sono abrogati o revocati o comunque modificati in modo tale da risultare coerenti con l’assetto regolatorio statale in materia di giochi pubblici». Chiude un avvertimento monitorio anche nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano, per le quali «le disposizioni del presente comma costituiscono principi generali di coordinamento della finanza pubblica».

Con una serie di precisazioni: l'emendamento votato in Senato non è stato proposto dal governo, ma dai membri del Senato stesso. Per una volta Letta non c'entra in maniera diretta. Non è stato un emendamento “vota & fuggi”, ma frutto di lunga discussione, quindi chi dichiara di aver votato senza sapere che cosa stava votando, come le senatrice Pezzopane (Qui) o Leana Pignedoli (Qui) entrambe del PD non dice il giusto. Non si vota a casaccio.

A casaccio si gioca – appunto – premendo la leva di una slot machine.  A casaccio non si vota, soprattutto su temi così delicati. Soprattutto se – da Chiti alla Pezzopane alla Capacchione– ci si è fatti promotori di campagne antimafia, antiazzardo. L’attenzione deve essere alta, soprattutto su temi che toccano un mercato da 120 miliardi di euro l’anno e, quindi, interessi sempre in bilico tra alta finanza e retrobottega.

Non basta dire “non mi sono accorto”. Questa è una posizione puerile, ma anche insostenibile perché l'emendamento è stato a checché se ne dica a lungo discusso in aula, tanto che il M5S aveva alzato un gran polverone denunciando a gran voce che si trattava di un provvedimento truffa. pensando di aver ottenuto il ritiro dello stesso. Non bastasse, va ricordato che a fronte dei  140 senatori del PD che hanno votato sì, altri 4 senatori del PD hanno espresso il loro no anche se con toni non troppo duriLaura Puppato, ad esempio, ha espresso una presa di posizione chiara sul no, ma rimarcando anche il suo statalismo puro. Dichiara la Puppato: «Non me la sono sentita di votare insieme al mio partito. Non c’è stato dibattito su di un emendamento che di fatto bastona i sindaci. Sono d’accordo sul fatto che gli enti locali non possano prendere iniziative su una materia dove lo Stato ha legiferato in maniera diversa, ma gli enti territoriali sono l’ultimo baluardo di difesa in una situazione di emergenza. L’approvazione di questo emendamento va in senso opposto rispetto alla prevenzione della diffusione del gioco d’azzardo ed è un messaggio negativo che si dà ai cittadini».

C'è poi un ultimo punto, che la dice lunga sulla consapevolezza critica dei nostri senatori: si crede che sia facile, ora, bloccare il tutto. Questa, dovesse passare alla Camera, sarà legge dello Stato e farà decadere la Legge Delega e l'art. 14. Sanno i nostri senatori che cos'è l'art. 14? Ne conoscono l'importanza? Oppure sono troppo occupati nel trovare scuse per il loro inqualificabile operato? (qui la questione a lungo trattata da Vita).

Se il M5S aveva lanciato l’allarme e persino 4 senatori del PD si sono accorti che qualcosa non quadrava, se ne potevano tranquillamente accorgere anche la Pezzopane, la Pigneddoli e compagnia (la lista qui sotto). 

Quando si tratta di decidere, non è questione di sapere o non sapere, è questione di decidere. Il sapere è a monte e determina – comunque la vogliamo pensare – le nostre scelte. Non ci si può distrarre o sbagliare su atti decisivi. Non si può sbagliare un chirurgo, non si deve “sbagliare” un senatore. E se sbaglia ne deve trarre le debite conseguenze dimettendosi.
 

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