Cultura
Volontariato in sanità. L’esperienza Innovativa di DAMA
Nato all’Ospedale San Paolo, il progetto prevede che ad accogliere le persone con disabilità affettive o relazionali, al momento di una visita o di un ricovero, insieme a medici e infermieri ci sia sempre un volontario. Saranno tra i tanti protagonisti degli Stati Generali del volontariato in Sanità
Si chiama DAMA-Disabled Advanced Medical Assistance, ed è una delle esperienze più innovative portate avanti dal volontariato in sanità, che verrà presentata agli Stati Generali del Volontariato in Sanità del prossimo 5 dicembre all’Aula Magna dell’Università Statale di Milano. Il DAMA è nato all’ospedale San Paolo di Milano nel 2000, voluto da Edoardo Cernuschi, fondatore della Ledha e proprio la Ledha continua ad essere il partner non profit del DAMA al San Paolo di Milano: oggi è stato replicato a Varese e Mantova direttamente da Anffas, che di Ledha fa parte, e Regione Lombardia punta ad averne uno in ogni sua provincia. Accanto alle équipe di medici e infermieri, al DAMA ci sono sempre i volontari Anffas. L’obiettivo è rendere l’ospedale un luogo accogliente anche per le persone con disabilità intellettive e relazionali, che non sanno comunicare i propri sintomi e il proprio dolore. Filippo Ghelma è il dirigente medico responsabile dell’UD DAMA di Milano e spiega dal suo punto di vista di professionista perché il volontariato in questo servizio è indispensabile.
Qual è l’apporto specifico dei volontari, in un contesto dove gli operatori e i professionisti sono già formati per accogliere questa specifica utenza?
Sono insostituibili. Senza di loro potremmo tenere dei buoni livelli di assistenza, ma l’accoglienza non sarebbe la stessa. Avere come primo interlocutore una persona che riconosci come “dalla tua parte” permette di smorzare le tensioni che inevitabilmente ci sono quando si affronta un percorso in ospedale; è più facile aprirsi, ed è più facile per noi medici cogliere tutti gli aspetti utili ad affrontare un percorso sanitario spesso complicato dalla condizione stessa della disabilità. Una persona che non riesce a comunicare verbalmente cerca di comunicare con atteggiamenti e cambiamenti comportamentali, spesso unici, talvolta bizzarri, che solo la famiglia sa cogliere e trasferire al personale sanitario. Però i famigliari non sempre riescono a mantenere la lucidità necessaria. Il volontario formato invece conosce le principali necessità di informazioni dei medici e spesso riesce a cogliere aspetti non detti, o che la famiglia reputa marginali.
La peculiarità di Milano, rispetto ad altri DAMA, è che qui i volontari hanno un ruolo che va al di là della sola accoglienza o dell’accompagnamento dei pazienti. Come è possibile?
Il volontario ovviamente deve essere formato, ma il partecipare attivamente ai percorsi diagnostico terapeutici presenta molti vantaggi. Spesso le famiglie chiedono ai volontari di essere accompagnate anche durante le visite specialistiche, per essere aiutate nel ricordare tutte le informazioni più importanti. Poi, essendo la maggior parte dei volontari genitori o ex genitori di persone con grave disabilità, è come se certificassero il servizio: un giudizio espresso da loro viene pesato in modo molto diverso.
In questa esperienza entra in gioco anche un’altra componente di gratuità, quella dei professionisti che scelgono di stare accanto a pazienti più complessi. È così?
In questi anni abbiamo imparato a fare cose normali in modo straordinario e cose straordinarie in modo “normale”. Penso che ormai nessuno di noi riuscirebbe a lasciare questo mondo. All'inizio, almeno per me, c'è stata molta paura e senso di inadeguatezza. Non conoscevo questo mondo, non immaginavo nemmeno lontanamente bisogni e difficoltà vissute quotidianamente, non sapevo come fare se il mio paziente non poteva raccontare i sintomi, nessuno mi aveva insegnato quali sono le fragilità che accompagnano la condizione di disabilità. La differenza tra una poco onorevole fuga e l’impegno e la passione a cercare di dare una risposta concreta a questi bisogni è stata l’impostazione che ha dato alla mia formazione come medico il dott. Angelo Mantovani (mio maestro e primo direttore di DAMA): il paziente deve essere seguito e curato, sempre. Anche quando non si sa come fare, è sempre possibile curare e prendersi cura. Da qui il percorso si è trasformato in una sfida appassionante, che ha dato dei risultati di cui siamo veramente orgogliosi: abbiamo creato un nuovo modello di accoglienza ed assistenza medica ospedaliera, utilizzando le armi già presenti in un grande ospedale, rendendo più semplice e ragionata l’organizzazione dei percorsi solitamente pensati più per la comodità degli operatori che per i malati. Emotivamente è molto coinvolgente, ma spesso partecipare è l’unico modo per capire e dare la giusta risposta. Il sorriso e il riconoscimento di uno dei nostri ragazzi è un’esperienza che mi fa venire i brividi: una persona che non immaginavo potesse comprendere chi sono e cosa faccio, riconosce in me la persona che ha contribuito al suo benessere. In realtà non gli ho fatto un regalo: è un suo diritto. Ed è il nostro mestiere di medici ed infermieri fare di tutto perché possa essere soddisfatto.
La relazione salutare, Stati generali del Volontariato in Sanità: appuntamento il 5 dicembre, ore 14,30, Aula Magna Università Statale, Milano
Partecipazione gratuita. Info: relazionesalutare@vita.it
Nella foto: una volontaria di DAMA all’Ospedale di Circolo di Varese. La foto fa parte della mostra La relazione salutare che si terrà in Piazza Castello a Milano, dal 9 al 23 dicembre.
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