Welfare

Dieci e lode ai bimbi rom. La scuola che non t’aspetti

Flaviana Robbiati, maestra di frontiera nella periferia milanese

di Sara De Carli

È una delle insegnanti che nelle scorse settimane sono uscite pubblicamente per chiedere che gli sgomberi non impedissero ai bambini di continuare ad andare a scuola. «Di 36 ne sono rimasti 16. Alcuni per
venire qui attraversano la città. Ma averli in classe
è una fortuna»
I materassi, le bombole del gas, le coperte pesanti – insomma le cose più preziose – le avevano già portate via. Il 15 febbraio, il giorno prima dello sgombero, hanno messo al sicuro le cartelle dei bambini: sono rimaste a scuola. «Mi feriva l’idea che le ruspe passassero sopra i quaderni dei bambini, è un simbolo terribile di disprezzo per il loro impegno e di non riconoscimento del percorso fatto». A parlare così è una maestra. Si chiama Flaviana Robbiati e insegna alla scuola elementare di via Feltre, a Lambrate. La mattina dello sgombero del campo rom di Segrate, lei era lì. Insieme ad altre maestre e ad alcuni genitori italiani, papà e mamme dei compagni di classe dei 16 alunni rom romeni del campo. Da Lambrate a Segrate, primo comune dell’hinterland a nord-est di Milano, ci sono sì e no 5 chilometri. Di tanto si sono spostati i rom dopo lo sgombero in tenuta antisommossa che il 19 novembre 2009 ha cancellato il campo di via Rubattino: chissà di quanto si sposteranno ora, che un’ordinanza ha cancellato anche le nuove baracche. Quel che è certo è che gli sgomberi non stanno cancellando le relazioni: i bambini continuano tutti ad andare a scuola. E se nei giorni più critici hanno dormito a casa dei compagni italiani per necessità, ora capita che ci dormano per amicizia. Flaviana, insieme ad altre colleghe, è in prima linea in quella che non è una battaglia ma una storia d’amore. Come prova la lettera che il giorno prima dello sgombero hanno scritto ai loro alunni rom: «Vi insegneremo centomila parole, perché nessuno possa annientare chi come voi non ha voce. Ora la vostra voce siamo noi. Grazie per essere nostri scolari».
Vita: È la prima volta che a Milano c’è tanta mobilitazione per i rom. Perché?
Flaviana Robbiati: Ci siamo ritrovati dentro. Di fronte a un’ingiustizia così grande, come si fa a rimanerne fuori? Mi stupisce il contrario, che faccia notizia chi come noi difende i bambini e non chi ne calpesta i diritti. Quando ci sono in ballo bambini italiani non funziona così.
Vita: Quando è iniziata questa storia?
Robbiati: Nel settembre 2009, quando nove bambini rom si sono iscritti nelle scuole di via Feltre, via Pini e via Cima. Eravamo abituati a lavorare con i bambini stranieri, non ci sono stati problemi. Però abbiamo iniziato a conoscere un mondo.
Vita: Come è andata?
Robbiati: Erano alla prima esperienza scolastica, facevano la quarta ma sapevano appena riconoscere le lettere. Il vero problema però non è stato didattico, ma educativo: erano bambini che stavano sempre con gli occhi bassi, che non avevano desideri, che non dicevano mai di no. L’idea che avevano è che nel mondo gagè è inutile esprimersi, tanto si è ignorati. Abbiamo lavorato, senza fare miracoli: a settembre, quest’anno, i bambini del campo di via Rubattino iscritti alle nostre scuole erano 36.
Vita: Poi l’annuncio dello sgombero?
Robbiati: Sì, e abbiamo organizzato una raccolta di firme e una fiaccolata di solidarietà. Maestre e genitori. Però abbiamo dovuto mandare avanti qualcuno a spiegare che le fiaccole non erano per incendiare le tende.
Vita: Lo sgombero c’è stato comunque.
Robbiati: Sì, ma 16 ragazzi hanno continuato a frequentare la scuola: il grosso del gruppo vive a Segrate. C’è un ragazzo di 16 anni che tutte le mattine da Chiaravalle accompagna qui due fratelli e un cuginetto. Due vengono da via Padova. Due ragazzi ora studiano ad Affori: la loro famiglia ha trovato casa là.
Vita: Le famiglie italiane non si lamentano che i rom rallentano la didattica?
Robbiati: Ma non la rallentano!
Vita: Mi ha detto lei che alcuni non sanno quasi scrivere?
Robbiati: Una classe non è un plotoncino. Non dobbiamo rallentare per buonismo; per professionalità dobbiamo essere capaci di far sì che ciascuno abbia il suo massimo.
Vita: Come si fa?
Robbiati: Poche lezioni frontali, molto lavoro a gruppi, tanta cooperazione fra bambini. L’alunno bravo che aiuta quello meno bravo non sta facendo un’opera di bene: sta rielaborando ciò che ha appreso, in modo molto più efficace di quel che ti costringe a fare un’interrogazione.

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