Economia
Quanto valgono le ricchezze dell’Africa?
46.200 miliardi di dollari, secondo l'esperto David Beylard. L'argomento è stato trattato durante il sinodo per l'Africa che si è concluso ieri
di Redazione
46.200 miliardi di dollari. A tanto ammonterebbero le ricchezze minerarie dell’Africa secondo l’esperto congolese David Beylard, autore di un’inchiesta sulla rivista economica “Les Afriques”. Con il 12% di questa somma l’Africa potrebbe finanziare la costruzione di infrastrutture di livello europeo.
Il tema delle risorse naturali è stato trattato durante il sinodo per l’Africa, conclusosi ieri a Roma, che ha visto riunti tutti i vescovi del continente africano per tre settimane.
«La terra è un prezioso dono di Dio all’umanità» si legge nell’Elenco Finale delle Proposizioni dell’Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi consegnate al Papa. «I Padri sinodali rendono grazie a Dio per le abbondanti ricche risorse naturali dell’Africa. Ma essi affermano che i popoli d’Africa, invece di goderli come benedizione e fonte di reale sviluppo, sono vittime di una cattiva gestione pubblica da parte delle locali autorità e dello sfruttamento da parte di poteri stranieri».
“Quanto valgono le risorse africane?” si chiede oggi l’agenzia di stampa vaticana Fides. Secondo David Beylard uno studioso congolese che ha pubblicato un’inchiesta su “Les Afriques” (una rivista economica panafricana), l’ammontare delle ricchezze africane è pari a 46.200 miliardi di dollari. «Il valore finanziario dei giacimenti africani di materie prime, finora scoperte, è di 46.200 miliardi di dollari! Perché l’Africa non riesce a valorizzare una simile ricchezza che equivale a 13 volte il reddito annuale della Cina? Un patrimonio largamente sufficiente per trasformare il continente in una delle prime potenze mondiali» scrive Beylard.
Con il 12% di questa somma l’Africa potrebbe finanziare la costruzione di infrastrutture di livello europeo. Secondo lo studioso africano, una della cause del mancato sviluppo dell’Africa è il modello economico fondato sulla finanza speculativa: «alcune società minerarie senza mezzi adeguati, a volte persino senza personale, né uffici, appartenenti ad azionisti anonimi, registrate in paradisi fiscali, riescono grazie a promesse e a messe in scena, a convincere i governi africani ad affidare loro delle enormi concessioni minerarie. Una volta intascato il contratto, queste società si precipitano in borse poco regolamentate, in genere canadesi, per sfruttare i loro titoli africani e intascare dei profitti prima ancora che un solo grammo di minerale sia estratto dalla concessione a loro affidata».
In pratica, si crea sulla carta una ricchezza garantita dalle risorse africane, senza che queste vengano realmente sfruttate e, soprattutto, senza che apportino reali benefici agli africani. Una situazione scandalosa se si pensa che il sistema finanziario internazionale continua ad esigere il pagamento degli interessi sui debiti contratti dai Paesi africani. «Perché accordare così poco credito all’Africa, che dispone di un patrimonio di risorse naturali gigantesco, capace di assicurare la solvibilità ben oltre i suoi bisogni? Mentre il sistema finanziario internazionale accetta di investire in società occidentali, anonime, opache, prive di competenze e di capitali, sulla sola garanzia di un contratto africano?» domanda Beylard.
Secondo uno studio effettuato da una società di consulenza specializzata negli investimenti in Africa – riporta l’agenzia Fides – nel continente vi sono 10 milioni di giacimenti di materie prime (sia su terraferma che in mare), ma solo 100mila sono sfruttati. Nove milioni 900.000 giacimenti, ovvero il 90% del totale, non sono messi in valore. Eppure sono conosciuti e catalogati da un’apposita banca dati, che si avvale delle più avanzate tecnologie satellitari e informatiche. La situazione potrebbe cambiare grazie anche alla “fame” di energia e di materie prime dei Paesi asiatici. Occorre però tenere alta la vigilanza affinché non si assista ad una nuova “corsa all’Africa”, da parte di grandi e medie potenze, con il rischio di provocare nuove guerre per il controllo delle risorse strategiche.
«Oggi esiste una stretta connessione tra lo sfruttamento delle risorse naturali, il traffico di armi e l’insicurezza deliberatamente mantenuta» affermano i Padri Sinodali. «Noi chiediamo alle istituzioni della Chiesa che operano in quelle società perché facciano pressione allo scopo di ottenere che quelle popolazioni gestiscano in proprio le loro risorse naturali. Per parte sua la Chiesa cercherà di istituire nelle varie nazioni del continente un tavolo di monitoraggio della gestione delle risorse naturali».
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