Famiglia
alla cometa si aggiungesempre un posto a tavola
accoglienza Una grande comunità famigliare alle porte di Como
di Redazione
La prima reazione, inconscia quanto immediata, è tenere le spalle ben dritte e i gomiti giù dal tavolo. La golden rule della buona educazione. Un po’ stupisce che a suscitare questa compostezza non sia un raffinato grand hotel, ma la sala da pranzo di una comunità familiare. Alla Cometa questa sera, a cena, siamo una sessantina: il numero varia di poco, da un giorno all’altro. Quattro coppie, 14 figli naturali e 24 in affido. In più qualche ragazzo dell’affido diurno (sono 96 in tutto). Piatti colorati, sottopiatti in tinta, fiori freschi in tavola. Dettagli. Come in tutta la grande casa, abbarbicata sulla Madruzza, la strada che da Como sale in collina. Uno dei fondatori, Erasmo Figini, fa lo stilista. Un altro fratello, Innocente, è primario di oculistica all’ospedale Valduce. L’eleganza non è forma che irrigidisce, ma stile che educa.
Tutto qui è tailor made, a cominciare – ed è la cosa più difficile – dal progetto educativo. Per i figli in affido, ma non solo. Con gli anni infatti (ne sono passati venti, dal primo bambino arrivato in affido da Erasmo e Marina) attorno all’accoglienza di minori in difficoltà sono nati altri tasselli, dalla squadra di calcio alla scuola. Il recupero dei drop out è diventato il pallino del team cresciuto intorno ai due fratelli e dei 180 volontari che li aiutano. Ogni anno seguono un centinaio di ragazzi che hanno abbandonato la scuola e invece di ostinarsi a reinserirli nei canali istituzionali si sono inventati percorsi su misura: corsi di rimotivazione, una scuola interna, un triennio tessile che ha portato questi sbarbatelli a proporre (e vendere) i loro tessuti a “Proposte”, la principale fiera del tessile lariano, fino a corsi e stage con i commis di sala degli (questa volta sì) storici grand hotel del lago.
Vita: Come siete passati da quel primo affido nel 1987 a tutto questo?
Erasmo Figini: Quella telefonata di don Aldo Fortunato è arrivata in un momento particolare della mia vita. Avevo 39 anni, ero alla ricerca di un senso reale della vita, avevo da poco conosciuto don Giussani? Ci hanno proposto di accogliere un bambino sieropositivo, abbiamo detto sì. Mio fratello è medico, gli ho chiesto consiglio e anche per lui e quella che poi sarebbe diventata sua moglie il coinvolgimento è stato totale. Dopo quell’esperienza abbiamo sentito il desiderio di ricominciare a frequentarci, noi due famiglie, e abbiamo cercato casa insieme. Dopo due anni i servizi sociali ci propongono di accogliere due fratelli cresciuti in ambienti diversi, per i quali cercavano due famiglie diverse ma vicine: una storia su misura per noi. E da lì è partito tutto. Non è mai stato progettato niente, tutto è nato un passo per volta, provocati dalle necessità.
Innocente Figini: Sì, il bisogno ti provoca, ma sei tu che devi cambiare, tant’è che ragazzi in difficoltà a Como ce n’erano anche prima che noi ce ne accorgessimo. È dagli incontri che è venuta fuori questa vita, che poi si è dilatata.
Vita: Accanto all’accoglienza avete puntato molto sulla formazione. Perché?
Erasmo: I ragazzi che seguivamo con l’affido diurno spesso avevano abbandonato le scuole professionali. Abbiamo cominciato con un corso di rimotivazione, fatto dentro casa: sette hanno ripreso il percorso scolastico e gli altri siamo riusciti a collocarli presso artigiani. Poi è nata una vera e propria scuola, in collaborazione con il tessile di Como. Il nostro slogan è quello del vestito su misura: ogni uomo avrebbe diritto a un vestito su misura, che ne aggiusta le pecche e valorizza i pregi. Qui si guarda a ogni ragazzo così, puntando sulla professionalità e sull’eccellenza.
Vita: Quanto contano i suoi contatti e quanto questo è un modello replicabile?
Erasmo: L’eccellenza è tutta replicabile. Ognuno ha dentro la passione per l’uomo, che può manifestarsi in mille modi diversi: basta che qualcuno te la faccia scoprire ed essa diventa un desiderio e un criterio d’azione, sempre. Poi ognuno ha i suoi talenti e spende le competenze che ha. Io ho visto imprenditori sotto un aspetto che non conoscevo, persone che mi hanno stupito, che da datori di lavoro sono diventati davvero partner educativi.
Vita: Nei progetti avviati è molto forte l’impronta di Erasmo. La sua qual è?
Innocente: Qui non prevale l’impronta di nessuno. Il punto ultimo è la comunione, che è anche un punto di penitenza perché si tratta di rinunciare a una parte del nostro io alla ricerca di una unità tenace e sintetica. Tutto passa da lì. La comunione è l’unico punto dove impari a far fuori il formalismo, inteso come far prevalere quello che hai in testa tu, il tuo progetto: un atteggiamento che è la fine del matrimonio, dell’educazione, di tutto. Solo la comunione può rompere questo atteggiamento, per questo non si può parlare di impronte. La comunione è diventata per tutti noi il metodo della vita. Don Giussani ci ha detto: «Non costruite opere di carità, servono opere di comunione».
Vita: Qual è la differenza?
Innocente: Non so come sintetizzarla. La comunione è il giudizio sulla vita. La carità, la gratuità, non può nascere che da una gratitudine per un altro che per primo ti ha guardato vedendo in te i desideri più veri del tuo cuore. Basta, se no poi mi dicono che sembra che allora solo i cristiani possono accogliere? Ma io penso così, non è possibile gratuità se non c’è a monte una gratitudine, magari inconscia.
Vita: I figli naturali cosa dicono?
Erasmo: I miei non hanno avuto grossi problemi, perché erano entrambi piuttosto piccoli quando è arrivato il primo fratello in affido: sono cresciuti così.
Innocente: Questi ragazzi sono innanzitutto l’aiuto più grande ad educare i nostri. Se l’educazione è risvegliare i desideri, non c’è come avere qui ragazzi con dolori così grandi per riportare i nostri figli sul dramma della realtà anziché illudersi di essere l’ombelico del mondo. C’è stato un periodo in cui il nostro figlio più grande – oggi ha 21 anni – contestava questa forma di vita: poi arriva la richiesta di affido di un ragazzo del diurno che era qui da due anni ed era diventato suo amico e si discute in quale famiglia accoglierlo, lui e le due sorelle? La sera mio figlio ci dice: devono venire da noi. E da lì anche la sua vita è cambiata.
Vita: Cosa vi rende diversi da un grande istituto per minori o da un’azienda?
Erasmo: Guardi la singola persona come unica. Devi dare a ogni persona che ti sta di fronte la certezza di avvertire un «adesso sono tutto tuo».
Innocente: Lo vedo tutti i giorni, qui: se ci poniamo di fronte ai problemi e alle persone pensando “e adesso cosa faccio” è la fine, mentre se riusciamo ad essere lì noi, come persone, guardando tutti i fattori della realtà, allora si affronta tutto.
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