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L’ospedale aperto a tutti. Nazareth, la pace nasce in sala parto
Israele, storia di convivenza Parla Giuseppe Fraizzoli che da un anno dirige un ospedale nel cuore della Terrasanta
La storia di Giuseppe Fraizzoli, veronese, 36 anni, non ha nulla a che vedere con il fiume di inchiostro versati sul dramma della Terrasanta. Eppure il dottor Fraizzoli, da quasi un anno lavora in trincea in Terrasanta: dirige l'ospedale Sacra Famiglia, a Nazareth. Tutti i giorni e tutto il giorno, gomito a gomito con arabi e ebrei, cristiani e musulmani, con il solo scopo di salvare vite, guarire ammalati, dare un futuro a chi sembra non sperarci più.
Vita: Per prima cosa, ci racconti qualcosa del suo ospedale?
Giuseppe Fraizzoli: Si tratta di un ospedale generale di 105 posti letto, in cui ci sono tutte le specialità comuni: dalla medicina interna alla chirurgia, maternità, ginecologia. È un ospedale dalla storia antica: fondato 120 anni fa dai frati Fatebenefratelli, sotto l'impero ottomano, ha vissuto le due guerre mondiali, è stato occupato, chiuso, riaperto e ancora adesso non ha vita facile. Abbiamo circa 8mil ricoveri all'anno, 3.500 interventi chirurgici, 1.500 parti, 20mila visite ambulatoriali, 21.500 visite al pronto soccorso. Ma ciò che è più interessante dell'ospedale non è l'aspetto medico, bensì le sue peculiarità.
Vita: Quali?
Fraizzoli: La prima è la sua multietnicità, sia dei dipendenti che dei pazienti. Abbiamo dipendenti arabi, musulmani, ebrei, cristiani: e questo anche tra i pazienti. Questo aspetto, che la convivenza fra le diverse etnie è possibile, è una cosa che non è mai sottolineata dai mass media. E la cosa interessante della nostra realtà è questa possibilità di convivenza: si tratta di qualcosa di normale, di quotidiano. Qualcuno l'ha definita un miracolo, ma per noi è normale, una cosa di tutti i giorni: tutti i giorni ci sono infermieri ebrei e arabi che lavorano assieme, che curano pazienti arabi ed ebrei.
Vita: Non mi sembra tenero verso i mass media che parlano della situazione in Terrasanta?
Fraizzoli: Tante volte i mass media (io vedo le tv italiane via satellite!) non vi fanno vedere la realtà di questi luoghi. Vi fanno vedere la parte acuta di uno scontro e soprattutto tolgono qualsiasi speranza per una convivenza tra questi due popoli. Quello che voi vedete della tragedia che stiamo vivendo qua, carri armati, fucili, distruzione, ? è solo un versante del dramma: l?altro è il figlio che chiede al papà militare che torna a casa con la divisa: «Hai ucciso qualcuno, oggi?». La tragedia è che sono due popoli schiavi di cattivi maestri, e probabilmente di un integralismo dall'una e dall'altra parte.
Vita: Ci racconti meglio di questa convivenza.
Fraizzoli: Le suore dell'ospedale (10 suore di Maria Bambina) mi dicevano che 17 anni fa loro dovevano essere presenti in corsia 24 ore su 24, altrimenti c'era l'infermiere arabo che picchiava l'ebreo e viceversa: oggi tutto questo non succede più. Per esempio, durante un'emergenza, a curare degli arabi colpiti dalla polizia israeliana, quel giorno c'era in pronto soccorso un medico ebreo. Alcuni parenti dei pazienti, un po? troppo focosi, volevano picchiarlo, però le infermiere arabe l'hanno difeso, e lui ha continuato nel suo lavoro.
Vita: In questi ultimi tempi il vostro ospedale è stato coinvolto nell'escalation di violenza?
Fraizzoli: Siamo in prima linea, perché facciamo parte della rete di ospedali israeliani per le grandi emergenze. Ci addestriamo per questo, ci prepariamo, e a volte ci capita di fare esperienza diretta sul campo, per vedere quanto siamo capaci di affrontare un?emergenza. Ci siamo fatti carico delle zone occupate e in particolar modo dei campi di Jenin. All?inizio ero un po? titubante per il fatto che sono immigrati illegali: palestinesi che sono in territorio israeliano senza alcun permesso, quindi non sapevo come le autorità avrebbero recepito il nostro aiuto a questi malati. Inoltre, non vorremmo prendere in carico persone che non hanno alcuna copertura assicurativa. Un giorno però mi chiamano dal pronto soccorso per chiedere se possono operare un bambino di due anni di Jenin, che ha bisogno di molto sangue: rispondo certamente di operarlo. E così per molte altre volte, fino a che ho chiamato il pronto soccorso e ho detto di prendere tutti.
Vita: Una presenza, quella del Sacra Famiglia a Nazareth, che però non ha vita facile?
Fraizzoli: È vero, siamo una mosca bianca all'interno del sistema sanitario israeliano. Infatti siamo un ospedale riconosciuto dal sistema sanitario statale, ma siamo anche un ospedale straniero, oltretutto un ospedale cristiano. Questo significa che noi dobbiamo andare a trattativa privata con le casse mutua che gestiscono la sanità in Israele. Le casse mutua sono quattro, il che vuol dire che quattro società gestiscono tutta la sanità e tutti i servizi. Noi siamo un piccolo ospedale che quindi deve trattare direttamente con società gigantesche cosicché il nostro potere contrattuale è praticamente nullo.
Vita: E i rapporti con i musulmani di Nazareth?
Fraizzoli: Recentemente sono venuti i rappresentanti del movimento islamico per portarci dei fiori e una targa per ringraziarci di quello che abbiamo fatto. E vi ricordo tutte le polemiche sulla moschea di Nazareth?
Vita: Anche per i cristiani siete un punto di riferimento?
Fraizzoli: Cerchiamo di salvaguardare la minoranza cristiana in Israele, dove i cristiani sono la minoranza della minoranza. La nostra istituzione è una garanzia di libertà e di continuità per i cristiani. Concretamente diamo lavoro a tanta gente, cosa in questo momento non indifferente.
Vita: Personalmente, come vive quest'esperienza?
Fraizzoli: Prima di venirci a lavorare, non ero mai stato in Terrasanta. E c'è una cosa che mi ha colpito subito come un'evidenza: qui si ha la percezione precisa della carnalità della storia di Cristo.
Vita: E l'Italia, la sente lontana?
Fraizzoli: Niente affatto. Abbiamo bisogno dell'aiuto vostro. Vi chiedo di aiutarci finanziariamente, e posso anche darvi qualcosa in cambio: un significato.
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